“Non crescere è già diminuire”

Il rischio dell’immobilismo, la sfida della speranza e il coraggio di ripartire dal carisma.

Il Capitolo generale 2025 sembra sia stato una buona esperienza di metodologia sinodale, ora speriamo che le decisioni prese con questa metodologia abbiano una buona accoglienza da parte di tutti i confratelli. Nei mesi antecedenti al Capitolo, i capitolari hanno avuto la possibilità di prepararsi partecipando on line a parecchi incontri e a un ritiro spirituale, ricco di contenuti di Vita religiosa. Ai lavori capitolari hanno partecipato dei “facilitatori” che hanno introdotto un ottimo linguaggio sinodale più aderente al tempo che la Chiesa sta vivendo; puntuale e sobria è stata la comunicazione. Tutti questi aspetti positivi non diminuiscono la preoccupazione sulla situazione attuale della Congregazione, a riguardo della qualità e quantità di membri professi perpetui, la scarsità generalizzata di vocazioni, di formatori e di formazione solida Cavanis. Conosciamo il detto “non crescere è già diminuire”.

Se la Congregazione non cresce numericamente con nuove vocazioni, magari dello 0,01%, se non ci prende cura delle vocazioni, della loro solida formazione, della santità dei suoi membri e della fedeltà al carisma, senza diluirsi in mille attività non specifiche, essa continuerà a diminuire.

Se i religiosi non crescono culturalmente con vera competenza teologica e pastorale, non bastano gli attestati universitari, se la formazione permanente rimane deficitaria e senza aggiornamento continuo, il diminuire sarà accelerato. Ora tutto dipende da ciascuno cercare e creare alternative, opportunità e possibilità di crescita, in ciascuno di questi aspetti. Quali sono le probabilità di crescita? L’improbabile non è l’impossibile.

Tutte le vie nuove della storia sono state inattese. Si dice che l’intelligenza artificiale può far paura, ma l’intelligenza umana superficiale e l’assenza di fede nella Provvidenza, fanno ancora più paura. Affinché l’intelligenza umana dei religiosi diventi autocritica e favorisca la crescita della Congregazione bisogna risvegliare la curiosità dell’infanzia, le aspirazioni dell’adolescenza, le responsabilità e la fiducia in Dio dell’adulto e nell’anzianità attingere dalle esperienze delle età che abbiamo attraversato. Non bisogna vivere da sonnambuli permettendo alla superficialità e allo scoraggiamento di prendere il sopravvento. Ciascuno si faccia una ragione della situazione agonica che stiamo vivendo e si converta.


Ripartiamo dal carisma! La conoscenza solida e umile del mondo giovanile nei Paesi dove stiamo vivendo è parziale e dispersa, si riduce spesso a frasi scontate. Mai ci sono state tante conoscenze sull’uomo e mai si è saputo così poco dei giovani e del valore della loro vita. Da educatori facciamocene una ragione per continuare a sperare che l’homo sapiens non diventi homo demens.

C’è una sorta di buco nero nella conoscenza di noi stessi, e ciò ostacola la reciproca comprensione, e nella conoscenza del mondo giovanile, le stesse innovazioni pedagogiche e pastorali appaiono portatrici di privilegi per pochi ragazzi più che di benefici per tutti. Non bisogna mai chiudere gli occhi, né fingere mai di non vedere gli aspetti di sofferenza della vita dei giovani, ma cercare sempre di vedere qual tanto di nobile, generoso e buono in loro, e servirli nei loro tratti meravigliosi con la passione, lo stile e la fedeltà dei Fondatori.


Non si combina nulla senza speranza, rinchiudendosi nelle mura della malinconia, della rassegnazione. Bisogna liberarsi dagli egocentrismi, tenere lontano le bassezze e le miopie mentali.

Dentro di noi cristiani abbiamo gli anticorpi, dobbiamo nutrirli per vincere ogni scoraggiamento. Nessuno si senta un “condottiero solitario”, ma umile operaio che mira a trasformare la sua umanità e la sua spiritualità per assumere la forma del Vangelo e “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”. Non possiamo dire che i giovani non hanno ideali per il servizio, la solidarietà, la missione, se non li abbiamo nemmeno noi, chiusi in un ego sistema che non aiuta a essere “gioiosi e impegnati nella speranza” e a rischiare per il bene.

P. Diego Spadotto

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