L’evangelista Luca introduce la parabola del “fariseo e del pubblicano al Tempio”(Lc 18,9), con questa lucida osservazione a riguardo dell’“intima presunzione di alcuni”, che si ritenevano giusti, migliori di altri, al punto da disprezzarli. La parabola è molto attuale se guardiamo alle presunzioni paurose e squallide degli uomini del potere politico, economico, ideologico, religioso, tra di loro amici e nemici terribili e bugiardi. Per capire anche quello che succede ai nostri giorni può aiutare la storia della scrittrice russa, Evfrosinija Kersnovskaja (1907-1994), testimone singolare di solidarietà profondamente umana, durante i vent’anni di inumana sofferenza, raccontati e disegnati nel suo libro autobiografico: Quanto vale un uomo. L’autrice, nata a Odessa da padre russo, di professione giudice, e da madre greca, è insegnante di lingue.
Nonostante un’educazione musicale e letteraria di ottimo livello e la conoscenza di sei lingue, preferisce il lavoro dei campi, specie dopo il trasferimento della famiglia in Bessarabia (Moldavia), per sfuggire al regime sovietico. Deportata in Siberia come molti suoi compatrioti viene condannata alla fucilazione e internata in un gulag nel 1941: “Ben presto dovetti convincermi che si poteva essere riconosciuti colpevoli anche di quello che si era pensato o che si sarebbe potuto pensare, perché non si poteva dimostrare di non averlo pensato”.
Sopravvive. Al suo ritorno, nei primi anni sessanta, inizia a riscrivere tutte le annotazioni fatte durante la prigionia. Non dimentica. Non ha pregiudizi sociali, nazionali o d’altro genere: “Insondabili sono Signore i tuoi pensieri ma ancora meno comprensibili sono i labirinti in cui errano i pensieri di quelli che detengono il potere”.
Nel libro, distingue due categorie di persone: quelle che anche nelle condizioni più difficili hanno saputo conservare qualità umane come la bontà, la disponibilità all’aiuto reciproco e i “mascalzoni” che hanno perso il loro volto umano e calpestano il prossimo in forme e comportamenti assurdi. Scrive: “Cristo ha detto, In verità vi dico, meglio per voi essere gettati con una macina al collo negli abissi del mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli, ma non aveva calcolato che ci vorrebbero troppe macine”. L’essere umano viene al mondo con un messaggio da comunicare: nulla abbiamo che non abbiamo ricevuto, tutto è impreziosito dal dono di se stessi senza “l’intima presunzione di essere giusti”, adorando un dio sbagliato, il proprio “io”. La decadenza di un popolo è un processo sottile che priva i giovani della “com-passione” e toglie loro il gusto di combattere per una ragione più alta.
Nell’attuale clima di paura tutto cospira a fuggire l’impegno per la solidarietà, per abbandonarsi alla fabbricazione di maschere di perbenismo. Come i sacramenti hanno bisogno della “materia” per significare l’azione della Grazia, così la fede ha bisogno della “materia”, ossia le opere della fede a protezione dell’uomo, sacramento dello Spirito.
Non c’è nessuna legge al mondo che possa giustificare la violenza su un essere umano o proibire la carità, la difesa e il rispetto. Come nella parabola del Buon Samaritano, nelle strade e nei gulag della società odierna, troppo facilmente si cade in mano ai “briganti”. La vita umana conta meno che niente, conta il profitto, l’efficienza, la potenza, il denaro. “Sacerdoti e leviti” passano “per caso” e non vedono i feriti a morte, sono estranei alle sorti dell’uomo, dicono “io non centro”.
Il samaritano “era in viaggio”, aveva un programma ma si ferma: “appena lo vide ne ebbe compassione”, gli si avvicinò, gli fasciò le ferite, gli versò dell’olio e del vino, lo prende sulle sue braccia e lo carica sul suo giumento, lo porta alla locanda e paga le spese. Non c’è nulla che valga per il Signore quanto un uomo. “Se una fede, una religione non si propone come prima cosa la salvezza dell’uomo, una salvezza che sia concreta, tempestiva, operante perfino dentro la cronaca più nera e il fermarsi per soccorrere non è scelta primaria, che religione o fede saranno?”. “Smettete di presentare le vostre offerte inutili… perché quando stendete le mani, io volto altrove la faccia; anche se moltiplicate preghiere io non vi ascolto” (Is 1,11).
P. Diego Spadotto, CSCh