Nel cuore della foresta pluviale dell’Amazzonia brasiliana, lì dove si incontrano il Rio delle Amazzoni e il Rio Negro, tredici anni fa il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I lanciava un grido d’allarme: si faceva sempre più urgente una cooperazione internazionale per preservare l’Amazzonia. i suoi bacini fluviali e le sue ricchezze, il cui ruolo è sempre stato centrale nel mantenimento della stabilità climatica, dei cicli idrogeologici e della biodiversità. Era il 2006 e duecento tra scienziati, ambientalisti, leader religiosi e giornalisti, si ritrovarono dal 13 al 20 luglio per il sesto simposio del progetto “Religione, Scienza e Ambiente”: una iniziativa ideata e promossa dallo stesso Patriarca e dedicata in quella edizione al tema “Il Rio delle Amazzoni, sorgente di vita”.
Proprio l’Amazzonia “fonte di vita” è il tema del prossimo Sinodo dei vescovi, dal 6 al 27 ottobre. Fu un viaggio e un convegno assieme, nella zona tra Santarem e Manaus, per analizzare l’impatto regionale e globale delle attività umane sul bacino del Rio delle Amazzoni, dalla deforestazione alla coltivazione di soia, fino alle implicazioni per i circa 400 gruppi etnici presenti sul territorio e ad esso indissolubilmente legati.
Benedetto XVI inviò ai lavori come suo rappresentante il cardinale Roger Etchegaray. Nel suo Messaggio al Patriarca, Papa Ratzinger evidenziò come l’impegno di cattolici e ortodossi per la salvaguardia del creato fosse un “esempio di quella collaborazione” che gli uni e gli altri “debbono ricercare con costanza per rispondere all’appello di una testimonianza comune”.
Concetti emersi nell’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco “si è messo in pericolo” l’ambiente che è “cosa buona agli occhi di Dio, divenuta cosa sfruttabile nelle mani dell’uomo”. In Amazzonia, le conseguenze oggi come allora sono alterazioni ambientali, perdita del territorio, malattie che stanno decimando le popolazioni autoctone, difese con gravi rischi da ambientalisti e missionari, molti dei quali sono stati uccisi per il loro impegno. Le comunità amazzoniche ritengano che la vita in Amazzonia sia minacciata – oltre che da interessi economici, interventi umani sconsiderati, criminalità, inquinamento, incendi – anche “dall’assassinio di leader e difensori del territorio”. La Chiesa, “non può rimanere indifferente”, al contrario deve “sostenere la protezione dei difensori dei diritti umani e ricordare i suoi martiri” è l’ecumenismo del sangue.
La storia ci mostra come la profezia nelle grandi crisi diventa un bene di prima necessità, come l’acqua. Nei bivi cruciali dell’esistenza, dove sbagliare direzione significa smarrirsi, se non c’è nemmeno “un profeta”, è facile perdere il gusto della vita, i popoli si trasformano in club di consumatori senza senso “vanitas vanitatum” dove “nemmeno il sacerdote e il profeta sanno che cosa fare”. La profezia non é ruffiana, non accarezza le presunte certezze e i nostri interessi, non risponde ai gusti dei consumatori.
E risaputo che l’isola di Pasqua si è autodistrutta per lo sfruttamento eccessivo: tutti i suoi alberi sono stati tagliati per favorire il trasporto delle enormi statue alle divinità. Studi ed esperienze insegnano che il problema non è il taglio dell’ultimo albero, ma il superamento di una soglia critica.
Quando cominciamo a vedere i danni è ormai troppo tardi. “Oggi l’Amazzonia sta vivendo lo stesso problema. I beni comuni che danno vita alla Terra appartengono a tutti e devono essere presi in considerazione e gestione per il bene di tutti. I popoli tradizionali dell’Amazzonia hanno saputo preservare l’armonia dell’ecosistema e i biomi presenti perché non sono stati predatori, non sfruttano fino all’esaurimento le risorse ma favoriscono la rigenerazione. Non così chi arriva da fuori che vogliono sfruttare le risorse al massimo. Purtroppo in questo sistema c’è l’assenza assoluta della categoria del limite.
Se a questo si aggiunge ma mancanza di lungimiranza dei governi e il moltiplicarsi di attacchi speculativi, allora veramente siamo sulla scorciatoia della fine, del punto di non ritorno. Vantaggi per pochi e danni per tutti. Se non percepiamo l’urgenza di un cambiamento, a estinguersi potrebbe essere non solo una civiltà, ma la civiltà”. (A.Smerilli)
P. Diego Spadotto, CSCh