Cavanis a servizio dei giovani in una Chiesa in uscita e in un mondo che cambia

L’apertura alla multiculturalità e all’interculturalità non si fa da sé. Nessuno è spontaneamente pronto ad accogliere le molteplici differenze culturali.

L’apertura alla multiculturalità e all’interculturalità non si fa da sé. Nessuno è spontaneamente pronto ad accogliere le molteplici differenze culturali. Nessuno nasce multiculturale e tanto meno interculturale. Sono necessari percorsi formativi per conoscere meglio la propria cultura e aprirsi alle altre culture. La propria cultura non può essere considerata norma universale per le altre culture.

Tutti dovremmo arrivare ad essere: “per nascita siamo..; per vocazione siamo Cavanis; per scelta personale siamo cittadini del mondo”.

Siamo anche coscienti che tutto questo avviene in questo tempo e in un mondo dove affiorano continuamente elementi di nazionalismo, razzismo e divisioni. Ma noi crediamo che il Cristo è venuto ad abbattere ogni muro di “divisione”.

Cosa propone il Capitolo per curare in profondità le “malattie del nazionalismo, del razzismo e delle divisioni e dei complessi di superiorità culturale?

I documenti sulla multiculturalità non servono se ciascun religioso non “decolonizza” lo sguardo, i pensieri, il cuore, il linguaggio e se non approfondisce la sua identità culturale percependone valori e limiti. Prima di essere consacrati siamo cristiani. Aprirsi alla multiculturalità è come cambiare casa, Paese, abitudini, visione della realtà umana e sociale: “Lascia il tuo Paese, la tua patria, e la casa di tuo padre e va verso il Paese che io ti indicherò” (Gen 12, 1).

Anche il Cristo che si è incarnato, in un certo senso,  ha fatto questo passaggio. Per noi Cavanis è necessario un percorso di formazione permanente che consideri il rapido processo di multiculturalità avvenuto in Congregazione.

Troppo spesso nella formazione permanente ci si focalizza su contenuti intellettuali o su iniziative spirituali di brevissima durata che poco incidono nel vissuto e nella quotidianità. Poi ciascuno torna alle cose di ogni giorno e con gli stessi problemi personali di prima, non si sono affrontati seriamente i conflitti comunitari, le crisi affettive, ecc.

Il Capitolo generale saprà proporre un percorso di formazione permanente che abbia un forte legame tra la vita reale e la missione evangelizzatrice, libero dalla semplice logica dell’aggiornamento, aperto a processi di crescita della persona, alla revisione di vita e alla conversione?

La formazione permanente è questione di mentalità umile e di attitudini che non pretendono di risolvere tutti i problemi ma aiutano ad affrontarli con decisione e carica umana e spirituale. L’aggiornamento strutturale ed organizzativo da solo, senza un arricchimento di crescita spirituale, si è rivelato un percorso senza sbocchi e ridotto a slogan: il nostro carisma è questo…la nostra spiritualità è questa…, e a furia di ripeterli crediamo che siano veri nella realtà. I testimoni/profeti non usano slogan ma sono credibili, affidabili, convincenti.

Il testimone/profeta nasce, si nutre e si caratterizza  dall’esperienza personale, intima con Dio e la sua Parola. “Non è un pifferaio incantatore e nemmeno gioca a fare il profeta, non si limita a vendere pane, ma fornisce anche il lievito per la coscienza critica del popolo, è un buon samaritano che si carica delle sofferenze altrui, é voce che grida contro gli Erode violenti”.

La memoria non basta più a nessuno e continua l’“orrenda strage” della gioventù. Certi esercizi di sopravvivenza non sono che un gioco di specchi: rimandano sempre la stessa figura rimpicciolita all’infinito, riciclano vecchie abitudini, e si ripete come i farisei: “il vino vecchio è gradevole”(Lc 5,39).  

Il Capitolo proporrà nuove forme di servizio e solidarietà per non illanguidire  dentro costruzioni, sempre più vuote e pesanti, sempre meno luoghi di verità e di carisma?

P. Diego Spadotto, CSCh

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