Cavanis: Perché scuole di carità?

Quando si incontrano la creatività degli educatori con i “sogni” dei ragazzi non c’è virus che possa fermarli.

Quando si incontrano la creatività degli educatori con i “sogni” dei ragazzi non c’è virus che possa fermarli. I Cavanis, nell’impegno educativo, mettono in risalto il legame tra lo studio, la maturazione affettiva e l’operatività, tra la “testa”, il “cuore” e le “mani” perché sono “Scuole di Carità”, nate dall’Amore provvidente del Padre che si prende cura dei suoi figli, in particolare dei più piccoli e poveri, insegnano a prendersi cura gli uni degli altri. Tre linguaggi: quello della testa, del cuore e delle mani, per arrivare a quella coerenza per cui “si pensa quello che si sente e si fa, si sente quello che si pensa e si fa, si fa quello che si sente e si pensa”.

Queste tre dimensioni devono sempre interagire negli ambienti educativi Cavanis. Nella pandemia, la dimensione relazionale è stata penalizzata nei lunghi mesi di assente o sofferta dimensione relazionale ma tutti, ragazzi, educatori, genitori, hanno imparato quanto essa sia importante e necessaria.

Siamo figli della società digitale, che accentua la relazione virtuale, anche nella didattica scolastica, ma che ha aperto nuove vie a conoscenza e comunicazione. Ora si faccia in modo che l’“astinenza” dalle relazioni, possa stimolare un maggiore senso critico nell’uso di questi strumenti. 

A volte siamo come quel personaggio dei cartoni animati che continua a camminare allegramente dopo aver attraversato il bordo del burrone…e quando guarda in basso si accorge di non avere più la terra sotto i piedi.

Gli ambienti educativi Cavanis sono il luogo dove maturare un atteggiamento critico verso certi modelli di sviluppo e consumo che creano “disuguaglianze vergognose” e che provocano sofferenze e disagio. Sono spazi dalle “porte aperte”, dove “riparare le ferite, proprie e altrui” e imparare a leggere i “segni dei tempi”. Per questo i ragazzi dei nostri ambienti educativi devono essere formati a una solida coscienza critica, che non si ripieghino in un elitarismo egoista, ma vivano la fratellanza, sapendo che tutto è connesso nell’identità oggettiva del genere umano e di tutto il Creato. Imparino a discernere, a leggere la propria vita come un dono di cui essere grati e da condividere. Lavorino sul “sapere con sapore”.

Non naufraghino in documenti e burocrazia, non siano pedinati da genitori ossessivi che continuano con il fiato sul collo dei figli, controllando il registro elettronico, emblema del cordone ombelicale mai tagliato. Vogliono i figli sull’autostrada del successo, funzionale solo a placare le loro ansie di vedere i figli già sistemati. La vera educazione non priva i ragazzi del gusto di annunciare i successi e gli insuccessi, gestire frustrazioni, superare ostacoli, crescere in responsabilità. 

La responsabilità è come un muscolo, si indebolisce se non lo “esercitiamo”. La responsabilità personale deve essere mantenuta sempre in esercizio anche nelle piccole cose che riguardano la vita in famiglia, a scuola, in società e nella cura della “Casa comune”, caso contrario i giovani rischiano di diventare adulti senza maturare. Perché ci riesce spontaneo prenderci cura dei propri beni e meno di quelli degli altri e ancora meno di quelli pubblici? Perché chiediamo con facilità che gli altri siano responsabili e quando tocca a noi essere responsabili siamo piuttosto facili a cercare scuse e a defilarci?

“I giovani, sono le mani di Dio a servizio della dignità umana perché ogni persona è una storia sacra, sono testimoni della tenerezza di Dio in mezzo alla cultura dell’egoismo, dell’individualismo, dell’indifferenza, sono un tesoro, portatori e comunicatori di speranza e di vita nuova”.

Per questo sono responsabilizzati a comunicare in rete solo cose che hanno il coraggio di dire di persona senza vergognarsi, a prendere coscienza che le parole che usano e le immagini che condividono raccontano la persona che sono. Ogni parola e ogni messaggio hanno sempre conseguenze piccole o grandi,  condividiamo solo parole e immagini che possono far bene. Ogni forma di insegnamento e comunicazione  è espressione di amore per la verità e il bene,  per abbattere le barriere della diffidenza. Educare i giovani  significa diventare, in certo qual modo, giovani, pur nella consapevolezza di non esserlo. “I giovani sono il futuro. No, siete il presente!” (Francesco). 

P. Diego Spadotto, CSCh

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