Chiesa in uscita sulle strade del mondo o prendendo il largo sui mari della Terra 

23 OTTOBRE - GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2022. “Di me sarete testimoni” (At 1,8)

“Preferisco una Chiesa accidentata, ferita, e sporca per essere uscita per le strade, che una Chiesa malata per la chiusura (EG 49). La strada è nel DNA della Chiesa, è una metafora della Chiesa. “Gesù chiamò a sé i dodici e li inviò dicendo: strada facendo…”. La Chiesa è nata in uscita.

É un ospedale da campo, quindi mobile, si prende cura di tutti, sa arrischiare nuove terapie e non si rinchiude nelle norme. Non ha nulla da difendere ma molto da offrire e va incontro a tutti, raccoglie feriti lungo la strada. La metafora della strada si adatta bene specialmente al nostro p. Marco Cavanis.

La fede che nasce con la Bibbia è nomade come il popolo discendente da un Arameo errante, in cammino, mai installata. Andate, guarite, risuscitate, purificate, perdonate, donate gratis, fino alla fine dei tempi e fin agli estremi confini della terra. “Gesù li condusse fuori verso Betania…”, e ci precede per le strade di Galilea.

Altra bella e antichissima metafora è quella della barca della Chiesa che non è stata costruita dal Signore per rimanere in porto a ondeggiare o per essere visitate da turisti e curiosi, ma per prendere il largo e uscire in alto mare, sfidare anche gli oceani, con qualsiasi tempo, anche con la tempesta, perché lui è nella barca e conosce il codice nautico. La metafora della barca serve molto bene anche per rappresentare la nostra Congregazione, nata a Venezia già Serenissima in tutti i mari, con un cuore a misura di oceano, amava gli orizzonti. La barca della Congregazione per troppi anni è stata ancorata in porto. Nessuno costruisce una barca perché rimanga in porto ma perché sogni il mare e navighi prendendo il largo. In Dio si scoprono nuovi mari quanto più si naviga. Quanto più una barca naviga, tanto più ha bisogno di manutenzione e verifiche. Ci sono barche di pescatori che tornano vuote. I pescatori, sono stanchi e delusi sulla riva puliscono e aggiustano le reti. Poi un mattino, sulla riva, il Maestro li invita a prendere il lago e lanciare le reti da un’altra parte.  

In questi ultimi cinquant’anni della nostra storia Cavanis la Congregazione è stata “in uscita”. É sempre suggestivo il viaggio attraverso la propria storia, fino a raggiungere quel nocciolo duro, sereno e immutabile che si chiama consapevolezza. Accettare di non avere sempre vinto, di non aver avuto sempre ragione, di non aver vissuto la missione Cavanis con coerenza, nella fedeltà alla povertà evangelica e al carisma, significa voler imparare dagli errori fatti, per non lasciarsi schiacciare da pensieri negativi e scoprire che nonostante le nostre infedeltà, il Signore ha operato “meraviglie”. Non sempre abbiamo vestito “l’abito dell’uomo spirituale”, umile di cuore, aperto alle novità dello Spirito, vicino “alle ferite della povera gioventù dispersa”, scartati e sofferenti che versa olio e vino sulle ferite della povera figliolanza dispersa, donando “sapore” oltre che “sapere”. Non sempre abbiamo insegnato con “autorità”, né evitato tra di noi i peccati della comunicazione:disinformazione, calunnia, diffamazione. La comunicazione è qualcosa di “sacro”, bisogna farla con “onestà e autenticità”. La nostra inesperienza, improvvisazione e autosufficienza ci hanno fatto confondere la testimonianza del Vangelo e del carisma con il nostro protagonismo personale. Ora, siamo chiamati a ricominciare da Cristo, ricevere da lui un “collirio”per “ungere gli occhi e recuperare la vista” (Ap 3, 18), ritrovare il cammino del carisma, a ripensare e a riprogrammare,l’esperienza delle “Scuole di Carità” e di qualsiasi altra opera o attività, per verificare se sono espressioni di “amore Cavanis alla povera figliolanza dispersa ed eccitare e accendere sempre più una particolare tenerezza verso la gioventù, a ciò spinta dal gusto che si dà a Dio, che l’ama con affetto distinto e del gran bene che si fa ad essa”. 

Nei Paesi dove siamo inviati come missionari delle “Scuole di Carità”, siamo chiamati a verificare cosa “resta” dell’anima del carisma così com’è stato testimoniato da P. Antonio e P. Marco Cavanis. Dopo cinquant’anni, sono pochi i Cavanis impegnati nelle “Opere secondo il carisma”, diventate “opere sociali” o “aziende scolastiche”, dove spesso manca l’anima che le ha create, la Carità. Non basta assolutamente presentare numeri, apparenze di edifici grandiosi, in una parola, la “quantità”. Senza identità carismatica chiara in noi religiosi Cavanis, se un giovane si sentisse interessato a scoprire la volontà di Dio a riguardo della sua vita, l’ultimo posto a cui penserebbe è una comunità Cavanis. Non bastano i soldi, i progetti, le proposte o realizzazioni più o meno intelligenti, se non ci si mette in gioco a livello personale, se non si incontrano i ragazzi, facendoli sentire conosciuti e amati, siamo “bronzi che tintinnano”.

La nostra esperienza missionaria educativa è iniziata in Brasile, 50 anni fa, con “Scuole materne”, presenza in Scuole statali e le “Case do Menor”, secondo le direttive dello “Statuto dei bambini e degli adolescenti”, poi si è diffusa in altri Paesi di Europa, America Latina, Africa, Asia. P. Antonio e P. Marco Cavanis, nella missione educativa, hanno vissuto e testimoniato la gratuità assoluta dell’amore del Padre, non hanno “parlato” dei giovani con aria di superiorità, hanno compreso la loro disperazione e le tragiche cause del loro disagio e hanno donato la loro la vita.

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