Ciò che caratterizza la vita consacrata non è la radicalità ma la profezia (Francesco)

Oggi, il problema non sono i benpensanti in sé, ma i benpensanti “fuori di sé”...

Il 1806 fu l’inizio di un triennio difficile per Venezia, umiliata sotto il dominio di Napoleone, ma fu l’inizio di un triennio di grazie per i sacerdoti veneziani Antonio e Marco Cavanis. Il 20 dicembre 1806 Marco è ordinato sacerdote, Antonio lo era già.

Ambedue erano a conoscenza della situazione disastrosa in cui si trovava la loro città e, in particolare, conoscevano le urgenti necessità materiali e morali della gioventù, che “cresceva inutile a se stessa e pericolosa per la società, defraudata com’era, di educazione e abbandonata al vizio e all’ignoranza”. Proprio in questi anni difficili danno inizio a una serie di attività per un risanamento integrale della gioventù: la Scuola, la Casa di lavoro con la tipografia, l’Ospizio per l’educazione delle ragazze.

Tutte queste iniziative le hanno affrontate nonostante l’inerzia e la povertà dei loro concittadini, il burocratismo asfissiante dei governanti che si alternavano in quegli anni, l’anticlericalismo, l’incomprensione e i commenti malevoli dei “benpensanti”. Pensare di sapere ciò che non si sa, è stupidità manifesta. Voler fare i sapienti in un campo in cui sappiamo benissimo di essere ignoranti, è una vanità insopportabile. In questi tempi di pandemia, tristi e difficili come nei primi anni dell’ottocento a Venezia, lo Spirito suggerisce coraggiose iniziative educative come quelle fatte dai Fondatori.

Oggi, il problema non sono i benpensanti in sé, ma i benpensanti “fuori di sé”, una condizione ormai comune nella Chiesa e nella società. Il predominio dei social provoca monologhi con lo specchio. Appena si fa una domanda sulla condizione della scuola, dell’educazione, della famiglia, che sfonda la cappa protettiva, i benpensanti fuori di sé reagiscono con rabbia, come a voler dire: da sempre noi ci siamo interessati a tutto questo.

Purtroppo, “nella considerazione di chi molto si considera, il contradditorio è scaduto da nobile arte filosofica a trappola meschina”. I benpensanti fuori di sé si offendono e pensano che offendersi sia il modo migliore per dimostrare di aver ragione, per poi rifugiarsi nel paradiso degli auto applausi dove ci si complimenta e ci si compatisce da soli.

La dedizione all’educazione della gioventù é una missione profetica che si sviluppa con una forte fedeltà creativa al Vangelo e al carisma per elaborare un solido vissuto di maturità umana nei giovani. La cultura attuale, però, è avversa al correre questo rischio, è incompatibile con l’audacia profetica intrinseca al Vangelo; la preoccupazione finanziaria ed economica spegne ogni coraggiosa iniziativa.

Madre Teresa di Calcutta diceva alle superiore delle sue comunità che non dovevano preoccuparsi troppo dei bilanci: il Signore  avrebbe provveduto. 

Chi ci crede? Il tipo di orientamento dominante nella vita consacrata è quello ormai della “squadra dirigenziale”, consigli, capitoli, riunioni tecniche, dove tutto è già scontato, deciso da “tecnici esperti” e dove è assente l’ascolto del Vangelo, il dialogo e l’inventiva profetica. Tale approccio sembra efficace, ma molto spesso produce una gestione mediocre, rappresentando il minimo comun denominatore e paralizza una visione di futuro profetica.

È come il cane che si morde la coda, i religiosi intontiti dalle sentenze dei “tecnici esperti”, non riescono a intraprendere iniziative nuove e audaci, fiduciose nella Provvidenza: “Non c’è maggior libertà di quella di lasciarsi  portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e controllare tutto, e permettere che egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove lui desidera” (EG 280) Bisogna “Dare priorità  al tempo e iniziare processi più che di possedere spazi” (EG 223).

La Parola di Dio ci libera dall’idolatria delle ideologie e sovverte i pregiudizi. Stiamo ancora imparando che cosa significhi essere servi della Parola, non suoi padroni. Le vocazioni rifioriranno  quando la gente vedrà che i religiosi Cavanis hanno una vita piena di grazia e fiducia nella Provvidenza e non solo quando sono indaffarati, divorati e svuotati dal “lavoro pastorale”, incapaci di ascoltare le vere necessità della gioventù.

I giovani riconoscono quando i consacrati parlano davvero per fede o quando stanno recitando una parte; si accorgono che sono felici, prima ancora di comprendere il motivo per cui sono felici. 

P. Diego Spadotto, CSCh

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