I Cavanis, chiamano i loro Fondatori, P. Antonio e P. Marco, “veramente padri della gioventù”, non solo perché hanno dedicato tutta la loro vita ai giovani ma soprattutto perché hanno vissuto con i giovani “come padri più che come maestri” per l’educazione del cuore.
La loro vita, in questo tempo di crisi educativa e del modo di vivere il carisma, ci interroga con precise domande sulla nostra paternità Cavanis con i giovani di oggi: dialoghiamo con i giovani, li ascoltiamo, camminiamo insieme, li cerchiamo per prenderci cura delle loro ferite, che supporto diamo alle famiglie che non sono più le famiglie “di una volta”?
Nei nostri siti e riviste parliamo dei giovani, citiamo le Costituzioni, pubblichiamo foto di opere e attività festive o ricreative, ma non si affronta mai la reale situazione della gioventù, le problematiche educative delle famiglie, le ferite dell’infanzia e della gioventù nei Paesi e culture nelle quali noi viviamo. Crediamo di conoscere le loro “ferite”, le loro conquiste e le difficoltà legate alla mancanza di orizzonti di speranza, alla scuola e un lavoro in futuro. Pensiamo di conoscere chi sono i giovani, perché sono i “nostri figli”, ma non abbiamo un rapporto di fiducia paterna con loro. Ci ostiniamo a determinare noi il ruolo di chi dà le indicazioni per come vivere il futuro, senza renderci conto che siamo diventati meno titolati a farlo. La paternità Cavanis, è “una dimensione di relazioni di fiducia reciproca”.
Vista la conflittualità di molte famiglie nella vita dei figli, come accompagnarli e aiutarli paternamente nel loro coinvolgimento in varie dipendenze, nelle crisi di fede, nella vita affettiva, nella loro fragile identità, nelle preoccupazioni per il degrado del pianeta Terra, e a riguardo del futuro della famiglia con la crisi demografica, nei desideri di pace e solidarietà, nella confusione dell’attuale situazione economica nei Paesi dove vivono?
Forse, bisogna riscoprire il gusto della condivisione di vita, con lo stile paterno di p. Antonio e p. Marco, allora il carisma Cavanis non sarà più un’astrazione, poco attraente; non ostinarsi a dare noi i suggerimenti per come vivere il futuro, senza renderci conto che siamo diventati meno titolati a farlo. I giovani ci svelano che il “re è nudo”. Per lo meno tentiamo, molte volte sbagliando non si sbaglia, semplicemente s’impara. La comunità educative Cavanis tornino a essere il luogo dove i giovani si sentono accolti e amati, nonostante le differenze generazionali e di mentalità.
Camminando insieme si scopre che “la comunità Cavanis che educa non si fa allo specchio”. I luoghi in cui ci s’incontra per esercitare la paternità, sono le opere e le attività educative, le iniziative di solidarietà, alla ricerca di fede più che di religione. La fede non è scomparsa nei giovani, ne restano però, versioni fake.
Che la nostra fede e quella dei giovani non attraversi un periodo di particolare fascino è scontato. Ma di qui a dire che “non c’è più fede” ne corre. L’autore di “La fede scomparsa. Cristianesimo e problema del credere”, smentisce le ipotesi apocalittiche a riguardo della fede, anche se sono scomparse molte “pratiche e abitudini religiose”. “La fede già fragile sembra essersi come arresa davanti alla complessità di un mondo indecifrabile, che il rapido succedersi delle crisi ha reso ancor più apparentemente allergico a letture religiose”. I giovani continuano a interrogarsi con un senso di stanchezza e di autoreferenzialità: “A che serve la mia fede ”fai-da-te”, se vale solo per me?”.
La fede che noi diciamo di avere è fede nel senso proprio di fede o ci sono «fraintendimenti, deviazioni, depistaggi”? La mentalità occidentale pone al centro dell’essere umano le sue esigenze materiali e ha permeato culturalmente ogni luogo.
La fede è qualcosa che coinvolge tutto l’essere umano, non è una delle tante proposte incomplete e insoddisfacenti, offerte sul mercato delle credenze.
Si va dalla pretesa di “dimostrare Dio” a forza di ragionamenti, al trionfo del paradigma tecnologico che offre salvezza con gli stessi strumenti che ci sfrattano dalla nostra umanità: “Allo scopo di ottenere il pieno dominio sul mondo e su noi stessi, accettiamo di essere esautorati dal controllo su ciò che ci riguarda”. Un bel paradosso che non basta, non si vive per questo.
P. Diego Spadotto, CSCh