Dare continuità alla G.M.G di Lisbona camminando insieme ai giovani

I ragazzi di oggi sono i nativi della “fragilità”. Quando si sentono liberi di parlare della loro vita, spesso raccontano i loro sogni sul presente e sul futuro ma parlano anche di fragilità, di cadute, di errori, di mancanze e dopo si sentono più forti, non sono i condannati al successo ad ogni costo. Capiscono che è importante passare attraverso i fallimenti e scoprire che la loro apparente realizzazione era fatta di mattoni e di pareti che scricchiolavano.

Nell’educazione della gioventù non esistono ricette, e anche se ci sono, hanno breve durata perché i ragazzi cambiano a una velocità impressionante. Meglio mettersi in ascolto con l’umiltà di imparare senza giudicare, perché quando i ragazzi si sentono giudicati, interrompono la comunicazione.

Ascoltare non sempre vuol dire capire da parte di adulti, genitori o educatori, che devono ancora far pace con i propri errori e questo li rende refrattari a capire. Per capire bisogna imparare a fare i conti con se stessi. I ragazzi chiedono agli adulti di essere credibili, di poter liberamente giocarsi la partita della vita nonostante la fragilità e la fatica: “fino a che c’è fatica c’è speranza”; chiedono speranza che significa dignità, diritti, doveri, in una società che li espropria di tutto, illudendoli con i facili successi. 

L’educazione richiede il coinvolgimento dell’educatore con amore e tempo per i ragazzi. Educare, nel tempo dei media e della tecno scienza è diventato un compito arduo.

Con la rete, essi sono diventati depositari di un potere sconosciuto in un recente passato, hanno bisogno d’essere affiancati da educatori all’altezza di tale compito, soprattutto quando perdono di vista il limite, la giusta prospettiva, ed enfatizzano il proprio “io” con desideri di onnipotenza. Educatori saggi, cordiali, che sanno stare accanto ai ragazzi, rimanendo, però, sempre educatori.

Nel camminare con loro è essenziale il rapporto libertà/responsabilità, accettandone il rischio, perché la cultura odierna è caratterizzata da riferimenti sempre più “liquidi” a riguardo del valore e del senso della persona umana. Essere educatori è una scelta affettiva di autorevolezza e coerenza di vita, che forma persone in grado, a loro volta, di donare se stessi, di prendersi cura e gioire dell’altro per crescere insieme, in relazioni sane e libere.

I ragazzi, non credono a chi non li ama, per questo bisogna mettere in campo persone, risorse, spazi e tempi dedicati alla scoperta del senso della vita e a un riferimento chiaro a Dio, che veglia sulle vicende umane, liete o tragiche.

Camminare con i giovani è l’arte delicata di accompagnarli sul filo di un rasoio, da un  lato formare in loro il senso critico e dall’altro il senso della comunità e della corresponsabilità, rafforzando l’esercizio del discernimento, aprendo, se necessario, strade nuove in “unità di intenti” su ciò che è essenziale. 

1) Educazione secondo lo stile di prossimità Cavanis.

Quali vie percorrere per la costruzione di un’educazione davvero inclusiva, propositiva, responsabile, testimone di vita?

2) Linguaggio e la comunicazione.

Quali chiavi interpretative e comunicative dobbiamo trovare per non lasciare nessuno ai margini del processo di istruzione (mente) e educazione (cuore)?

3) Formazione alla vita e alla fede.

Come sintonizzare istruzione e educazione accompagnando la crescita permanente dei ragazzi in qualsiasi ruolo si operi?

4) Corresponsabilità.

L’educazione Cavanis è una casa aperta e accogliente, come coinvolgere i ragazzi nella cura e nella gestione, in che modo da renderla accogliente per quanti volessero partecipare?

5) Il cambiamento delle strutture non basta.

Nei diversi ambiti, abbiamo bisogno di solide competenze, professionalità formate e divisione responsabile dei compiti: quali percorsi possono essere individuati per una gestione virtuosa ed efficace di persone e di beni?

Padre Diego Spadotto, CSCh

Cerca