Morte di P. Antonio Cavanis raccontata da P. Francesco Zanon: “I Servi di Dio P. Anon’Angelo e P. Marcantonio, conti Cavanis”. Storia documentata della loro vita, vol. secondo, pag. 253-254.
Venerdì 12 marzo 1858
Eravamo a tavola più presto del consueto per averci il maltempo data vacanza.
All’improvviso il Fratel Luigi Armanini ch’era in assistenza del Padre, chiamò. Corse il Fratel Giovanni e dietro a lui, io e meco il Fusarini. Abbiamo trovato il Padre nell’ultima stretta, in tempo però che non solo gli potei dar l’Assoluzione sacramentale, ma recitargli tutte le orazioni del Rituale ed altre. A un’ora e quasi tre quarti dopo mezzogiorno placidamente spirò.
La combinazione della vacanza ci diede la consolazione di poter assistere alla morte del nostro Padre, intorno al cui letto erano accorsi intanto anche gli altri. Se fossimo stati a scuola, quasi quasi non vi si sarebbe trovato nessuno, non avendo avuto nessun precedente indizio che ci dovesse così rapidamente mancare.
Sabato 13 marzo 1858
Oggi dopo la visita e il relativo atto in iscritto dell’incaricato municipale, si è vestito il Padre, disteso sulla tavole del suo letto con tappeto e cuscino. Il suo aspetto, alquanto alterato dalla positura in che giaceva alla morte, ritornò al naturale, così che a vederlo parea raccolto devotamente e soavemente a pietà. Era una tenerezza ed una devozione a rimirarlo
Domenica 14 marzo 1858
Questa mattina nell’Oratorio si è fatto cantare alla scolaresca l’Uffizio e udir la Messa per il Padre, dopo la quale si è fatta alla Bara eretta l’Assoluzione.
Anche ieri si tennero per il Padre alla Messa gli scolari e si fece recitar loro il Rosario. Finito l’Oratorio si è concesso ai giovani, a pochi per volta, vedere il Padre defunto.
Era un senso di tenerissima commozione osservare come s’inginocchiavano devotamente d’intorno a lui, lo miravano affettuosi e con trasporto amoroso gli baciavano i piedi, la veste, le mani. Avea sul labbro un devoto e dolce sorriso, e i fanciulli non si saziavano di rimirarlo. Parecchi chiesero in grazia di poterne avere alcuni capelli, che furon loro concessi.
Lunedì 15 marzo 1858
Ed il senso che faceva nei fanciulli, facevalo in tutti: Cominciò sabato il concorso, ma ieri ed oggi fu numeroso e continuo, anche di donne, che a gloria di Dio ed onor del suo Servo si lasciò che venissero. Non si può dire il conforto che se ne aveva. Era di tutti una voce, di tutti una stessa la ammirazione.
– “Oh benedetto, ci pare un santo”. “Vedi se non ti sembra dormire”. “E quel sorriso che ha sulle labbra!”. Allegrezza fa e devozione, anziché ribrezzo e paura! “Oh, non si finirebbe più di rimirarlo!” – Queste e simili, anche più vive ed enfatiche erano le espressioni. E gli baciavano e ribaciavano devotamente le mani e raccomandavano sè e i cari loro alla sua intercessione.
Settantasei ore passarono prima che fosse rinchiuso in cassa, ed il suo aspetto se qualche cosa pareva mutare, fu in meglio, né minimo odore si ebbe a sentir nella sua stanza, dove concorreva tanta gente, né si bruciò mai un grano d’incenso.
Alle cinque e mezzo pomeridiane, com’era già stabilito, lo si levò dalla stanza per condurlo alla Chiesa. S’erano raccolti intanto tutti quelli che il volevano accompagnare. Il Parroco Roverin, cordialissimo, era non pur contento, ma da sè stesso desideroso che si facesse un giro per la Parrocchia, ed avea chiesto di poterlo far accompagnare dalle insegne e dai lumi delle tre Confraternite della sua Chiesa. Egli non vi poté intervenire perché a letto da oltre due mesi, ma dal suo letto andava pensando a tutto e parlava col suo Sacerdote D. Vincenzo Vianello, tutto cuore anch’esso, perché ogni cosa fosse disposta in buon ordine, ed avesse ottimo effetto. E veramente l’ottenne.
Il giro fu lungo e la processione trionfale. Precedendo le tre Confraternite della. Parrocchia ed una di S. Pantaleone mandata dal Parroco Salsi. Seguivano un buon numero di Confratelli con candela, ed in lunga fila abbinati i fanciulli della Dottrina. Venivano poi dieci devoti con torcia, indi la croce ed il Clero assai numeroso, poi molti sacerdoti amorevoli accorsi e dietro il sacro Cadavere con attorno ventiquattro torce, portate da nostri scolari e somministrate sei dal Parroco di S. Silvestro Cerchieri; e sei da quello di S. Felice, Epis; quattro da quello di S. Pantaleone, Salsi; quattro da quello dei Frari, Tessarin; due da quello di S. Gervasio e Protasio, Barella; due da quello dei Tolentini, Bevilacqua. Infine, altri dieci devoti con torcia ed altri con candela. .
Il giro fu come segue: dalla casa si andò per il Campo di S. Agnese alla Piscina, e, percorsala in tutta la lunghezza dei suoi due lati, si passò il ponte di S. Vito, per tutta la fondamenta, quindi il ponte della Calcina, e per le Zattere fino al Ponte Lungo, dove si ripiegò e si rientrò finalmente in S. Agnese.
La gente ovunque affollata; ma tutta riverente e devota, né si udiva rompere il silenzio che da voci di benedizione, di venerazione, e di fede nel Padre defunto, che tutti avevano in venerazione di Santo. La chiesa, per impegno principalmente del ricordato Sacerdote Vianello, era addobbata a lutto nei pilastri e negli archi, con appese per le pareti le tavole con le iscrizioni usate pel P. Marco. Il palco funereo era alto e maestoso, e fu circondato dalle aste delle tre confraternite e delle torce.
Martedì 16 marzo 1858
Oggi sono giunte al numero di 38, le Messe; ma sarebbero state molte di più, se si fosse diffusa la notizia della morte avvenuta del nostro Padre, e del giorno del funerale, che molti ignoravano.
Alle 9,30 circa si è cominciato l’Uffizio nel Coro pieno di Sacerdoti. a capo dei quali era il M.r Moro, Vicario generale Capitolare, che pontificò poi la Messa, cantata con musica in Organo; dopo la quale ho letto io il funebre elogio, riuscito di soddisfazione, per le belle e verissime cose in esso dette del caro Padre, benchè abbia potuto dirne ben poche. Fatta quindi la Assoluzione, la funzione fu compiuta. Vi assisteva una rappresentanza del Municipio, qualcuno della Delegazione, e la Eccellenza del Sig. De Bissingen luogotenente, con tre consiglieri, Muzan, Alberti e Zanetelli.
Uscita la gente, e chiusa la Chiesa, si diede opera a foderare di piombo la cassa di larice.
Martedì, 17 marzo 1858
Il sacro cadavere si era posto nella Cappella di S. Giuseppe, dovendo aspettare, per tumularlo, l’incarico della Delegazione per i riguardi sanitari. Il decreto, infatti, dell’Arciduca incaricava la luogotenenza per le disposizioni relative alla concessa tumulazione, e per la osservanza delle discipline sanitarie.
Si depose nell’urna il sacro cadavere verso le ore due pomeridiane, avendo trovato l’arca stessa in perfettissimo stato, e si usò l’avvertenza di far sostenere la cassa del Padre, da tre cavalletti di rame, con lame sovrapposte, acciocché non gravitasse sopra quella del Fratello.
Entro della cassa si era già rinchiusa, scritta in pergamena entro una boccia, otturata pure con pergamena e questa legata con forte cordoncino di seta, fermato con ceralacca, impressa il suggello con la cifra C. S. C. una iscrizione indicante il nome, l’età ecc. ecc. del Padre.
Piacque ad alcuni dei nostri che si traesse dal volto del caro Padre lo stampo, ed io acconsentii, e si era fatto ciò subito, Venerdì scorso, alla sera. Ma domenica, venuto lo scultore Zenaro a vedere il defunto, e confrontandone l’aspetto con lo stampo già fatto, ritrovò questo quasi deforme. La positura in letto in cui tuttavia giaceva il dì della morte, ne avea alterato gravemente le fattezze. Si richiamò dunque subito lo stucchino che fu egli stesso incredibilmente stupito della diversità che trovava, e ben fu contento di rinnovare il lavoro. “Così avremo del Padre vera e bella la effigie”.
La tomba che rinchiudeva le salme venerate dei Servi di Dio venne chiusa con una grossa lapide di bardiglio.