Un virus con in testa una corona è diventato il re del mondo e ha cambiato la vita e la storia dell’umanità in questi ultimi due anni. A nulla sono valsi gli armamenti militari di difesa, perché il virus ha oltrepassato impunemente tutte le frontiere e ha circolato ibero per paesi, città, stati e nazioni. Ci ha trovati tutti impreparati e dove è passato ha seminato, morte, dolore e disperazione. Ha cambiato le nostre abitudini, ci ha privato della libertà di movimento, ci ha relegati in casa, ci ha impedito di incontrarci, ha messo a dura prova gli operatori sanitari, ha chiuso scuole, bar, ristoranti e luoghi di incontro, ha diffuso paure, incertezze, senso di solitudine e di abbandono, preoccupazioni per la salute, per il lavoro, per il futuro. All’emergenza sanitaria è seguita necessariamente l’emergenza economica: migliaia di persone hanno perso il lavoro e molte famiglie si sono impoverite. Tanti, troppi e invisibili sono coloro che hanno perso tutto o molto per causa della pandemia. I governi hanno emesso decreti, hanno adottato misure sanitarie e hanno disposto ingenti aiuti economici per far fronte alla difficile situazione.
La situazione è diventata anche occasione per risvegliare in molti il senso di solidarietà e di carità che ci fa sentire tutti coinvolti perché siamo tutti nella stessa barca e abbiamo bisogno gli uni degli altri. La solidarietà è certamente il fiore più bello e profumato che è sbocciato nel campo di tristezza e di abbandono in cui è venuta a trovarsi l’umanità. Organizzazioni non profit, diocesi e parrocchie hanno moltiplicato centri di ascolto e di aiuto, aperto mense comunitarie, raccolto e distribuito generi alimentari e istituito fondi specifici, come il fondo San Giuseppe, per aiutare chi ha perso il lavoro. Insomma, c’è stata e continua tutt’ora una gara di solidarietà e generosità per venire incontro a tante famiglie vittime del Covid-19 che oltre a perdere affetti cari con la morte di familiari, hanno perso il lavoro e soffrono per la mancanza del necessario per vivere.
Ebbene tutto questo noi abbiamo vissuto e osservato in Italia e nei paesi sviluppati dove c’era un certo tenore di ricchezza e dove soprattutto ci sono strutture sanitarie che hanno accolto e curato migliaia di persone affette dal Covid 19. Ora si comincia a vedere una luce in fondo al tunnel perché sono arrivati i vaccini. La macchina dell’organizzazione delle vaccinazioni sta andando a pieno ritmo e si spera di vaccinare la maggior parte della popolazione prima della fine dell’estate.
E nei paesi del così detto terzo mondo, come procede la situazione? I racconti dei nostri missionari che vivono in Congo, in Mozambico, nelle Filippine e in America Latina oltre alle altre informazioni che ci giungono da chi opera in quei paesi, ci parlano di centinaia di migliaia di morti a causa del coronavirus e anche a causa di guerre, ci descrivono situazioni apocalittiche di cataclismi e molte persone che hanno perso tutto e hanno dovuto abbandonare le loro terre rifugiandosi in baraccopoli nelle città. In Mozambico più di 3.000 morti ed oltre 800.000 sfollati nella provincia di Cabo Delgado rivela il missionario Padre Marques che mette in luce la presenza di “famiglie spezzate” e di migliaia di persone scomparse. “La maggioranza si rifugia nella boscaglia, fuggendo da morte certa, e ci sono persone che non sanno dove si trovano i loro parenti, se sono ancora vivi o morti”.
Neanche di fronte alla pandemia si sono fermate le guerre e le guerriglie. In alcuni paesi le strutture sanitarie sono molto precarie e non tutti possono avere accesso a cure adeguate. Papa Francesco più volte è intervenuto per dire che “non possiamo lasciare che il virus dell’individualismo radicale vinca noi e ci renda indifferenti alla sofferenza di altri fratelli e sorelle”. Per questo ha chiesto ai responsabili degli Stati, alle imprese, agli organismi internazionali, di promuovere la cooperazione e non la concorrenza, e di cercare una soluzione per tutti: vaccini per tutti, specialmente per i più vulnerabili e bisognosi di tutte le regioni del Pianeta.
Come usciremo da questa pandemia? Siamo tutti traumatizzati e le conseguenze psicologiche si manifestano in ansia, angoscia, panico e depressione. In particolare, coloro che più hanno sofferto sono i bambini e gli adolescenti che porteranno le conseguenze negli anni futuri. Come Cavanis siamo chiamati in prima persona a farci presenti per trasmettere sicurezza, protezione e cura. Dobbiamo aiutare tutti e in particolare i ragazzi e i giovani a ritrovare speranza nel futuro e a trasformare le ferite in feritoie. Le ferite, come quelle del Risorto, possono trasformarsi in feritoie attraverso le quali una luce nuova raggiunge le persone. La nostra missione è essere presenti, farci vicini, informarci, informare e collaborare nella formazione di una società più giusta, più fraterna, più umana.
Quali passi ci chiede di fare il nostro sogno di un mondo più giusto e fraterno? Come possiamo realizzare proprio in questo tempo la conversione alla prossimità nell’attenzione verso i poveri? Quali sono le conversioni necessarie per vivere la nostra realtà di essere tutti fratelli e sorelle in quanto tutti amati dal Padre buono?
Il virus ha provocato un grande dolore, ma allo stesso tempo ci ha fatto riscoprire che siamo un’unica famiglia. Papa Francesco ci invita ad avere un nuovo sguardo sul mondo “mettendo in circolo gli anticorpi della solidarietà. Non possiamo riscrivere la storia con le spalle rivolte alle sofferenze degli altri”.
La Procura delle Missioni Cavanis in questo tempo di pandemia non ha potuto riunirsi per programmare iniziative particolari. Alcuni aiuti concreti sono giunti dalle parrocchie di Corsico, Possagno, Cavaso e Fellette, oltre che da alcuni benefattori particolari. Un fatto che io considero straordinario è che durante la pandemia è continuata l’iniziativa delle adozioni a distanza tanto in Italia come in Brasile.
Approfitto anche di questo spazio per ringraziare tutti coloro che ci hanno aiutato a sostenere le nostre missioni in questo tempo non facile. Questo ci aiuta a capire meglio la dimensione missionaria della chiesa che sa lanciare lo sguardo oltre i propri confini perché la sofferenza ci unisce e ci rende fratelli. Anche nei momenti difficili noi rispondiamo: presente!
P. Piero Fietta, CSCh – Procuratore Generale delle Missioni Cavanis