Discernimento e criteri di scelta

E' necessario che i responsabili a tutti i livelli si dedichino, come suggerisce il Papa, “a un'opera di guarigione, pentimento e rinnovamento.

Formazione.
Formazione.

“Tre volte in quattro giorni. Florida, Irlanda, Belgio: il 20, il 22, il 23 aprile il bollettino della Sala stampa vaticana ha dovuto fare riferimento al “famigerato” paragrafo 2 del can. 401 del CJC. Tre vescovi sono stati costretti a rassegnare le loro dimissioni. E non per motivi di salute o di età…ma per la copertura garantita ai preti delle loro diocesi accusati di pedofilia. Il vescovo di Bruges, si è dimesso per aver abusato più volte di un minore prima della sua ordinazione episcopale”.

Questo non è un bollettino di guerra. Ma sembra. E’ l’inizio di un dossier/inchiesta pubblicata sulla rivista Jesus, giugno 2010. Queste denunce e altre venute a raffica in questi mesi, obbligano la Chiesa tutta a fare una verifica seria, molto seria e un discernimento umile e penitente a riguardo dei criteri di scelta dei candidati alla vita religiosa, al sacerdozio, all’episcopato…Sia coloro che sono chiamati a fare la presentazione dei candidati sia quelli che, sulla base delle presentazioni sono chiamati a scegliere, dovrebbero fare un esame di coscienza e una revisione profonda delle modalità di presentazione e dei criteri di scelta dei candidati. 

Superficialità, fretta, interessi personali, motivazioni poco chiare, ignoranza a riguardo di quanto la prudenza suggerisce e perfino il CJC esige, vicende rimosse per quieto vivere, per senso di colpa, per un clima omertoso o di costrizione psicologica…tutto questo e molto di più può essere messo alla radice di tanto male fatto alla Chiesa e all’umanità, ferite che non sono più rimarginabili. 

Senza sottovalutare la casistica odierna, bisogna ricordare, però, che i casi che hanno fatto tanto rumore in questi giorni si rifanno a 20/30 anni fa. Ora è necessario che le diocesi, le congregazioni religiose, i seminari, i formatori, i superiori, i vescovi si attrezzino di scelte operative non tanto per piangere sul latte versato, quanto per fare giustizia alle vittime, non solo risarcimenti, e per rivedere alla base e mettere in esecuzione una serie di principi, di per sé già chiari, e di criteri di scelta dei candidati. 

E’ necessario che i responsabili a tutti i livelli si dedichino, come suggerisce il Papa, “a un’opera di guarigione, pentimento e rinnovamento. Solo esaminando con attenzione i molti elementi che diedero origine alla presente crisi è possibile intraprendere una chiara diagnosi delle sue cause e trovare rimedi efficaci. Certamente, tra i fattori che vi contribuirono possiamo enumerare procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa, insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati…”.

La gravità delle accuse e delle denunce ha fatto vacillare la credibilità dei vertici della Chiesa e i vertici, in particolare, di quelle Congregazioni religiose che direttamente o indirettamente si dedicano alla gioventù, quando i vertici non denunciano gli abusi e danno copertura a chi abusa o insabbiano il caso. 

“Si richiedono, ora, azioni senza precedenti, perché se oltre al cosa fare non si capisce il perché, qualunque riforma sarà a breve termine. Un esame delle strutture della Chiesa, del tipo di governo e di pari passo dell’insegnamento e dell’atteggiamento verso la sessualità sono tutti temi da investigare. Resistere, come alcuni vorrebbero, prolungherà soltanto l’agonia”. Subire abusi distrugge il sistema dell’ego, carica la persona del peso di una vergogna insopportabile. Sarebbe sbagliato considerare chi è stato abusato da sacerdoti o in istituzioni religiose come una “normale” vittima di pedofilia.

“Quando chi abusa è una figura genitoriale che rappresenta anche Dio, il mondo spirituale e l’eterno, il tradimento non lascia alcuna via di scampo. Tutte le istituzioni e le persone che dovrebbero essere sicure e degne di fiducia diventano sospette”. Non ci sono scorciatoie. La prassi di cercare un accordo monetario per evitare l’imbarazzo di un processo pubblico è spesso controproducente per le vittime. Prevenire: questo è stato il metodo pedagogico dei nostri Fondatori, tanto declamato e usato da molti, dopo di loro. Tutto quello che si pensa di fare a riguardo del discernimento, della presentazione e delle scelte dei candidati dovrebbe avere come guida questo saggio principio: prevenire. Bisogna imparare da queste vicende a non far affidamento e a non essere assillati dal numero dei candidati ma dalla qualità della formazione iniziale e anche permanente dei giovani sacerdoti. Dopo l’ordinazione servirebbe ancora un quinquennio di “tutoraggio” visto che si caricano sulle spalle di giovani sacerdoti responsabilità enormi che richiedono competenze diverse e complesse. 

La maggior parte delle volte i giovani sacerdoti sono messi in responsabilità senza che nessuno li segua, verifichi e sia direttamente responsabile per la loro formazione e attuazione. Ci vuole una lunga esperienza per scoprire nel periodo del seminario elementi devianti della personalità ma una volta che i giovani sacerdoti si trovano “liberi” di agire, appena ordinati, ci vuol poco per scoprire l’affiorare di elementi devianti della personalità.

Inoltre, facendo riferimento alle parabole evangeliche della “semente”, è bene ricordare nel cammino di formazione che secondo l’uso medio orientale il terreno veniva arato dopo aver seminato e non prima di seminare. Quando i giovani entrano in seminario sono generalmente terreno non arato e nel quale secondo il Vangelo bisogna seminare e poi arare. Tutto si gioca nel rapporto tra seme e la terra in cui la semente cade. Il tempo della aratura è lungo. Non ci sono fattori esterni determinanti ma la relazione tra il seme e la terra che è determinante. Ciò che fa la differenza è lo scoprire nei formandi se essi sono tra quelli, tornando all’interpretazione della parabola evangelica, che sono attorno a Gesù, o pur rimanendo dentro il seminario sono quelli di fuori che avendo occhi non vedono, avendo orecchi non ascoltano. La parabola termina così: “In quello stesso giorno, sopraggiunta la sera, disse loro: passiamo all’altra riva. Lasciando la folla, lo presero così com’era sulla barca; c’erano altre barche con lui” (Mc 4, 35-36). L’apertura universale alla missione, cioè passare all’altra riva, non deve andare a discapito della preparazione seria e dal prendere sempre, sulla barca della vita, Gesù così com’era.

P. Diego Spadotto CSCh

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