Quante volte per seguire un’idea della nostra mente, non riusciamo a vedere la realtà che sta sotto ai nostri occhi. La realtà chiede più attenzione, ma noi siamo distratti o fissati nella nostra idea. Fino a quando non ci liberiamo dalla zavorra delle nostre fissazioni e paure non costruiremo niente di nuovo. Diminuire l’ego, allargare, giorno dopo giorno, lo spazio concesso all’unica forza davvero in grado di creare qualcosa di nuovo: il discernimento alla luce della Parola di Dio e la capacità di accoglienza del dolore di tanta povera gioventù dispersa con compassione. Altrimenti, invece di cercare il bene, cerchiamo solo il nostro bene, il nostro interesse.
E il nostro bene e il nostro interesse hanno sempre una sottile componente ingannevole perché sono il terreno su cui prospera il potere di controllare tutto. Per discernere bisogna tenere alto il livello di attenzione e basso quello della giustificazione, quella che ci convince che il male è sempre nell’altro. Battaglie perse in partenza, come quella che combattiamo ogni giorno per allontanare la morte e per una “morte felice”, così perdiamo l’occasione di vivere felici ogni giorno, fidandoci di Dio che per noi e per la nostra gioia fa fiorire anche il deserto. Dominati dall’insaziabile presenza del nostro ego, abbiamo pensato che si potesse vivere bene rapiti dallo spirito dell’efficienza. Ogni cosa doveva funzionare nel migliore dei modi e il migliore dei modi si misurava con il rendimento.
La via di Gesù: cose nuove e cose antiche. Gesù ha affermato di non essere venuto ad abolire la Legge, “ma a dare pieno compimento” (Mt 5,17). Ha insegnato a non trasgredire neanche “uno solo di questi precetti, anche minimi” (Mt 5,19). Eppure era accusato di violare le norme mosaiche, come il riposo del sabato o il divieto di frequentazione dei pubblici peccatori. Tuttavia, “Ecco – dice il Signore – io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5). È il “vino nuovo” dell’amore evangelico che subisce sempre il rischio di essere messo negli “otri vecchi” delle nostre sicurezze religiose o economiche, che tante volte mettono a tacere il Dio vivo che non smette di parlarci. È la sapienza del “discepolo del regno dei cieli” che cerca la pienezza della Legge, la giustizia che supera quella degli scribi e dei farisei, estraendo “dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52).
Nella missione, ricevuta da Gesù, attraverso i secoli la Chiesa ha dovuto affrontare questa avventura di estrarre “dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52). In missione, una volta si parlava di razze differenti, oggi si parla di culture differenti; c’erano i missionari colonizzatori che accompagnavano i conquistatori di nuove terre e popoli, oggi i missionari sono “conciliari”, seguono gli orientamenti del Vaticano II e quelli sempre più attuali dei Papi, per cui i missionari non seguono i conquistatori e i vincitori, ma i perdenti, gli ultimi e i poveri, è la profezia del dialogo: Enciclica “Ut Unum sint” di Papa Wojtyla per l’impegno ecumenico e il dialogo. La profezia del perdono: la richiesta di perdono giubilare san Giovanni Paolo II chiede perdono per i peccati compiuti dai figli della Chiesa. Non più Inquisizione e violenza “ma presa di coscienza per riconoscere le deviazioni del passato e risvegliare le nostre coscienze di fronte ai compromessi del presente” (san Giovanni Paolo II). La Chiesa, pur fondata da Cristo, “resta tuttavia costituita da uomini limitati e legati alla loro epoca culturale”.
Anche la Chiesa, come tutto il Creato, evolve. Giovanni Paolo II afferma che “la creazione si pone nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo, come una “creatio continua” in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come Creatore del Cielo e della terra. Lo sviluppo del concetto di libertà: Il Concilio Vaticano II, con le Dichiarazioni “Dignitatis humanae” sulla libertà religiosa e “Nostra aetate” sul dialogo con le religioni non cristiane compie un salto che ricorda il Concilio di Gerusalemme della prima comunità cristiana che apre la Chiesa a tutta l’umanità. Di fronte a queste sfide, San Giovanni Paolo II affermava che “il pastore deve mostrarsi pronto a un’autentica audacia”.
P. Diego Spadotto CSCh