Formazione e autoformazione sono permanenti se tras-formano e danno stabilità

Formare è trasformare, è andare in profondità di se stessi, non in superficie.

Statua di Gesù Cristo Buon Pastore, una scultura presso il seminario Cavanis a Fietta.
Statua di Gesù Cristo Buon Pastore, una scultura presso il seminario Cavanis a Fietta.

“Fine corsa. La formazione è satura”. Così inizia il libro: “Abbi cura di me” (Giacomo Ruggeri). Secondo l’autore, l’impianto strutturale della formazione nella Chiesa, non incide nelle persone a livello profondo, è ininfluente. Noviziato, anni di studi di filosofia e teologia, incontri, corsi, laboratori, esercizi spirituali, scivolano via e non lasciano traccia di trasformazione vera nelle persone. Fino a quando la formazione non esce dal letargo del formalismo e della superficialità, rimane perdita di tempo, infruttuosa, deludente e causa di tante sofferenze. La formazione vera è quella che trasforma la persona, riguarda la vita e non solo gli schemi, coinvolge tutta la persona nelle varie stagioni della vita. L’attuale formazione è satura di dispense, appunti lasciati al lavoro di autoformazione che non sarà mai fatto per la complessità del vivere quotidiano e l’assenza di una seria verifica, di accompagnamento e discernimento. Essa non riesce a generare persone in relazione fraterna. Preti e religiosi vivono nella propria bolla social network, non considerano i laici, i giovani specialmente, “luogo teologico” di annuncio del vangelo ma solo destinatari da riempire delle nozioni imparate. Le loro connessioni per quanto ultrarapide possano essere, non generano relazioni. L’essere connessi non è sinonimo automatico di essere in  relazione. 

I mutamenti radicali del nostro tempo obbligano a una seria revisione della formazione perché aiuti veramente le persone a scoprire la loro storia, assumere le proprie fragilità, immaturità e traumi e a capire come cambia il mondo e quale trasformazione deve avvenire nella loro vita. Formare è trasformare, è andare in profondità di se stessi, non in superficie, ai bordi dell’etichetta e dei titoli acquisiti. I contenuti sono importanti ma se essi non trasformano e le persone non si lasciano trasformare per entrare in un vero cammino di trasformazione permanente, è tempo perso. La vera formazione è quella che pone al centro la persona, la sua storia complessa e sconosciuta, le relazioni malate o represse, le turbolenze impreviste che creano disorientamento, immobilismo e decisioni sbagliate.

Per una trasformazione permanente, non bastano gli studi, le scadenze, gli organigrammi, le Ratio. Se poi a questo si aggiungono formatori che vestono un ruolo come un vestito, ma non sono “rivestiti di Cristo”, non profumano di Cristo, sono come degli Avatar, allora siamo a fine corsa. Nel linguaggio di internet l’Avatar è una persona reale che sceglie di relazionarsi con gli altri attraverso una propria rappresentazione, un personaggio, per l’appunto un Avatar, non da “persona di Cristo”. 

Per rivestirsi degli stessi sentimenti di Cristo è necessario affrontare un deciso lavoro di spogliazione dell’uomo vecchio, mettere ordine nella vita con fatica e sudore e ridefinire con chiarezza il fine della propria vita: “Servire e lodare Dio”. Il resto è confusione, tentativo per fondere insieme il proprio fine con quello della logica di Dio che è la Croce e non il merito. Nella croce le ferite della storia personale, i traumi, le cadute, possono essere integrate nella sincerità, perché nessuno coincide solo con i propri limiti.

La bellezza della vocazione non è all’inizio del cammino o nelle varie cerimonie che seguono. Essa è una scelta che va scelta ogni giorno, nella trasparenza del comportamento. La formazione è consegna a Dio di mente, cuore, corpo, miserie umane, attraverso la consegna di se agli altri, riconsegnarsi, ogni giorno, per coniugare e integrare i desideri con la realtà: “Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose interiormente” (Sant’Ignazio – Esercizi spirituali).

La difficile arte di formare alle scelte è un prendersi cura della persona, rispettosi del suo passo, senza sostituirsi o delegare le decisioni, senza inibire, falsificare, spiritualizzare, generando danni irreparabili per la persona e per la comunità. La tentazione di nascondere parti negative di sé o di trovare colpe esterne in persone e situazioni, è il campanello di allarme che deve svegliare ogni formatore. L’attuale “stanchezza” della formazione è conseguenza di una saturazione di teorie, e dell’incapacità di far emergere le ferite delle storie personali.

P. Diego Spadotto, CSCh.

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