Giovani, scusateci se spesso non vi abbiamo dato ascolto

...se, anziché aprirvi il cuore, vi abbiamo riempito le orecchie” (Papa Francesco)

“Giovani, scusateci se spesso non vi abbiamo dato ascolto; se, anziché aprirvi il cuore, vi abbiamo riempito le orecchie” (Papa Francesco)

Non maestri di tutti o esperti del sacro ma “portatori di vita nuova”, cioè “testimoni dell’amore di Dio che salva”. Tutta l’omelia a conclusione del Sinodo si snoda sui tre passi che scandiscono il  “cammino della fede” e parte dal Vangelo della Liturgia: Bartimeo, il cieco di Gerico, dopo essere stato guarito da Gesù diventa discepolo.

1. “Ascoltare, prima di parlare”, “l’apostolato dell’orecchio”, è il primo passo che Gesù stesso indica quando ascolta il grido del cieco di Gerico e lo lascia parlare, senza essere sbrigativo, mentre coloro che stavano con Gesù rimproveravano Bartimeo perché tacesse. “Avevano in mente i loro progetti”. Per Gesù “il grido di chi chiede aiuto” non sia un disturbo ma “una domanda vitale”. I cristiani sono quindi chiamati a prestare ascolto non “alle chiacchiere inutili” ma ai bisogni del prossimo, con amore e pazienza. E come Dio non si stanca mai, ma gioisce sempre quando “lo cerchiamo”, così i cristiani devono chiedere “la grazia di un cuore docile all’ascolto”. Vorrei dire ai giovani, a nome di tutti noi adulti: scusateci se spesso non vi abbiamo dato ascolto; se, anziché aprirvi il cuore, vi abbiamo riempito le orecchie. Come Chiesa di Gesù desideriamo metterci in vostro ascolto con amore, certi di due cose: che la vostra vita è preziosa per Dio, perché Dio è giovane e ama i giovani; e che la vostra vita è preziosa anche per noi, anzi necessaria per andare avanti.

2. Farsi prossimo, é la seconda tappa del cammino di fede. La fede non si concentri solo su formulazioni dottrinali o sul sociale. Gesù chiede a Bartimeo: “che cosa vuoi che io faccia per te”. Dio, dunque, si coinvolge in prima persona con “amore di predilezione per ciascuno”. Papa Francesco mette in guardia da due rischi che si possono correre nell’ambito della fede:  Quando la fede si concentra puramente sulle formulazioni dottrinali, rischia di parlare solo alla testa, senza toccare il cuore. E quando si concentra solo sul fare, rischia di diventare moralismo e di ridursi al sociale. La fede invece è vita: è vivere l’amore di Dio che ci ha cambiato l’esistenza. Non possiamo essere dottrinalisti o attivisti; siamo chiamati a portare avanti l’opera di Dio al modo di Dio, nella prossimità: stretti a Lui, in comunione tra noi, vicini ai fratelli.

Testimoni dell’amore di Dio, non maestri di tutti o esperti del sacro. “Farsi prossimo”, “antidoto contro la tentazione delle ricette pronte”, consiste quindi nel “portare la novità di Dio nella vita del fratello”. Per questo, il Papa esorta a chiedersi se si è capaci di “uscire dai nostri circoli per abbracciare quelli che ‘non sono dei nostri’ e che Dio cerca ardentemente”. C’è, infatti, sempre, la tentazione di “lavarsi le mani” mentre il Papa esorta a fare come Gesù che si è chinato su un cieco, cioè esorta a “sporcarci le mani”. Riconosciamo che il Signore si è sporcato le mani per ciascuno di noi, e guardando la croce ripartiamo da lì, dal ricordarci che Dio si è fatto mio prossimo nel peccato e nella morte. Si è fatto mio prossimo: tutto comincia da lì. E quando per amore suo anche noi ci facciamo prossimi diventiamo portatori di vita nuova: non maestri di tutti, non esperti del sacro, ma testimoni dell’amore che salva. La Chiesa non è una ONG  ma la comunità dei salvati che vivono gioia del Signore

3. Testimoniare, è il terzo passo che il Papa invita a compiere nel cammino di fede. Come il cieco di Gerico, tanti giovani “invocano vita” ma spesso “trovano solo promesse fasulle e pochi che si interessano davvero a loro”. “Non è cristiano aspettare che i fratelli in ricerca bussino alle nostre porte; dovremo andare da loro” portando non noi stessi ma Gesù, perché egli ci manda a incoraggiare nel suo nome: Ci manda a dire ad ognuno: “Dio ti chiede di lasciarti amare da Lui”. Quante volte, invece di questo liberante messaggio di salvezza, abbiamo portato noi stessi, le nostre “ricette”, le nostre “etichette” nella Chiesa! Quante volte, anziché fare nostre le parole del Signore, abbiamo spacciato per parola sua le nostre idee! Quante volte la gente sente più il peso delle nostre istituzioni che la presenza amica di Gesù! Allora passiamo per una ONG, per una organizzazione parastatale, non per la comunità dei salvati che vivono la gioia del Signore. La fede è incontro con Gesù non una teoria. “La fede che ha salvato Bartimeo non stava nelle sue idee chiare su Dio, ma nel cercarlo, nel volerlo incontrare”. Sentirsi bisognosi di salvezza è l’inizio della fede. “La fede è questione di incontro” con Gesù, “non di teoria”. Ad essere “efficace” è quindi la “testimonianza della nostra vita”, non “le nostre prediche”.

P. Diego Spadotto, CSCh

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