I padri sinodali alla scoperta dei “semi del verbo” in Amazzonia

I religiosi, che attuano in Amazzonia, corrono il rischio di non lasciarsi coinvolgere e mettere in discussione da Dio, per “acidità religiosa”, dice Papa Francesco.

FORMAZIONE
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Il carmelitano monsignor Santin, vescovo nella Prelazia di Itaituba, dal dicembre 2010 è pastore tra gli indigeni Munduruku, più di 11 mila anime in un territorio di 175 mila km quadrati, che occupa gran parte dello Stato di Parà, ricorda quanto gli riferì il cardinal Hummes, presidente della Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica. “Papa Francesco ha un sogno: vedere in ogni villaggio amazzonico un sacerdote indigeno”, e davanti alle difficoltà, racconta Santin, ha chiesto di “cominciare con quello che la Chiesa vi permette già: il diaconato permanente”. 

Abbiamo già 48 ministri munduruku della Parola  e ci siamo resi conto che era meglio iniziare a creare ministri della Parola, prima di quelli dell’Eucaristia. Perché nel nostro clima umido equatoriale l’ostia consacrata non si può conservare per molto tempo”. Così nel 2017 sono stati istituiti i primi 24 ministri della Parola munduruku, 20 uomini e 4 donne, “che hanno iniziato a celebrare nelle loro lingue e a predicare la Parola di Dio”.

E quest’anno, “ne abbiamo istituiti altri 24, 19 uomini e 5 donne, cosicchè oggi ci sono 48 ministri della Parola munduruku che possono dire, come i popoli che ascoltarono i discepoli dopo la Pentecoste: ‘Li udiamo parlare delle grandi cose di Dio nelle nostre lingue’”. 

Presto, conclude il vescovo brasiliano, “istituiremo ministri del Battesimo e del Matrimonio, perché i munduruku, che in gran parte sono battezzati, ci tengono a battezzare i propri figli e a sposarsi in Chiesa, e cercheremo di averli in ogni villaggio. Vedremo poi quando sarà possibile ordinare diaconi indigeni”.  “Dobbiamo cambiare la struttura della Chiesa, affinché sia più snella, non più così lenta nelle decisioni, per riuscire a portare la Parola di Dio in tutti i luoghi”.

Non si tratta di mescolare, ma “assimilare alcuni valori delle comunità indigene che sono coerenti coi valori cristiani. Non possiamo certo sacralizzare tutto quello che è indigeno, ma nemmeno ‘satanizzarlo’. Bisogna studiare tutti i loro riti, quello che significano per loro e quelli che sono in comunione con il servizio alla Chiesa”. I ministeri  spesso sono in consonanza con le tradizioni indigene.

C’è, ad esempio, un rito indigeno che viene celebrato quando una comunità ha abbondanza di cibo e lo condivide con un’altra comunità, che lo riceve e ringrazia con una festa. Così, nell’Eucaristia, le stesse comunità danzano davanti all’altare e poi collocano ai piedi dell’altare i prodotti della terra che si sono scambiati come offerta. Si tratta di riti, di situazioni, all’interno della loro celebrazione che per loro sono molto compatibili con la propria cultura e anche con il loro essere cristiani. Non accogliamo tutto quello che è indigeno per assimilarlo a ciò che è cristiano, ma elementi, situazioni e celebrazioni che hanno ‘semi del Verbo, semi di Dio’, come direbbe sant’Ireneo”.  

I religiosi, che attuano in Amazzonia, corrono il rischio di  non lasciarsi coinvolgere e mettere in discussione da Dio, per “acidità religiosa”, dice Papa Francesco. I consacrati possono diventare così “collezionisti di ingiustizie”, secondo il tipico atteggiamento di chi si sente sempre vittima e quindi cade nelle lamentele continue. In Amazzonia e specialmente nella Prelazia di Itaituba sono presenti i religiosi Cavanis. Anche loro sono chiamati a lasciare “l’indifferenza lamentosa” e ad assumere un atteggiamento di conversione, a passare da conversione a conversione e all’umiltà missionaria, come testimoni non autoreferenziali.  Sono chiamati a dare testimonianza di amore ai poveri soprattutto con la loro vera povertà, che deve essere vissuta nel concreto, senza dimenticare che il “diavolo entra proprio dalle tasche”, cioè attraverso la mancanza di coerenza con il voto di povertà. Essa, diceva sant’Ignazio di Loyola, e i nostri santi Fondatori, deve essere “madre e muro” della vita religiosa e denuncia aperta dello spirito mondano in cui scivola talvolta la Chiesa. Lo spirito mondano fa male alla Chiesa, tanto che Gesù nella sua preghiera chiede al Padre di allontanarci non dal mondo ma dallo spirito del mondo che rovina tutto e provoca falsità e contro testimonianza.

P. Diego Spadotto, CSCh

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