Il coraggio dell’autenticità e la retta intenzione nella missione

Papa Francesco parlando alla comunità del Pontificio Collegio Urbano che forma il clero destinato ai territori di missione, ha invitato i futuri “discepoli missionari” ad essere come Gesù, sempre in comunione con il Padre, credibile per l’armonia che traspare in Lui tra ciò che annuncia e ciò che fa: “Per essere dei discepoli-missionari vicini a Dio e agli altri sono necessari il coraggio dell’autenticità, la retta intenzione, la capacità di uscire da sé stessi e l’apertura al dialogo”. 

Ha invitato, poi, a spogliarsi delle maschere che si indossano magari per apparire perfetti, impeccabili e ossequiosi o migliori: “Le maschere non servono. Presentiamoci agli altri per quello che siamo, con i nostri limiti e le nostre contraddizioni, vincendo la paura di essere giudicati perché non corrispondiamo a un modello ideale, che spesso esiste solo nella nostra mente. Coltivate la sincerità e l’umiltà del cuore, che ci donano uno sguardo onesto sulle nostre fragilità e povertà interiori. Ricordiamoci che si è missionari credibili non per un abito che si indossa o per atteggiamenti esteriori, quanto piuttosto per uno stile di semplicità e di sincerità e trasparenza”.

Le parole del Papa sono un invito a rivedere la nostra “missionarietà” Cavanis. In passato, parlare di missione o manifestare di desiderio di essere inviato in missione, era interpretato come una fuga o un desiderio di evasione.

Oggi, al contrario, si crede che “andare in missione” sia il desiderio o l’essere mandati a studiare fuori del proprio Paese per raggiungere titoli di studio più qualificati, visitare Paesi differenti e fare un’esperienza “a tempo”, spesso per fare una vita comoda, con denaro più facile.

Quando tra di noi si parla di “missione”, è molto difficile sentire parlare di disponibilità al sacrificio, di donazione, di inculturazione, di farsi ultimi con i poveri, di necessaria preparazione spirituale, di conoscenza della storia, della geografia e della cultura del Paese dove si è destinati ad andare. Si va come a “far turismo” a spese altrui, forse con seconde intenzioni, avventurandosi alla ricerca di titoli per far carriera.

Per parlare di missione e di essere missionari bisogna essere e sentirsi inviati, sinceramente disposti ad assumere la responsabilità dell’accettazione dell’invio, davanti a Dio e ai confratelli; andare in missione con pudore, umiltà e gioia, per una vita di servizio e per lasciarsi evangelizzare dai poveri. I missionari e i visitatori delle nostre missioni, sono chiamati a essere testimoni di Gesù e non protagonisti che si esibiscono in  valanghe di foto e di selfie. 

Continua Papa Francesco: “John Henry Newman, ex-alunno del Collegio Urbano, metteva in guardia dall’atteggiamento di quanti pensano di agire con dignità e invece smettono di essere sé stessi, diventano personaggi senza identità”.

La vita missionaria è un continuo esodo, un’uscita da schemi mentali, dal recinto delle nostre paure, dalle piccole certezze che ci rassicurano. Altrimenti si rischia di adorare un Dio che è solo una proiezione dei propri bisogni, e di non vivere incontri autentici nemmeno con gli altri, come hanno fatto Abramo, Mosè e i pescatori di Galilea chiamati a seguire il Maestro. Far parte di una comunità missionaria Cavanis, con culture, lingue e sensibilità differenti, è una sfida e un dono da cui si può essere arricchiti aprendosi agli altri, al loro mondo.

Il Papa, infine, incoraggia i discepoli missionari a: “vivere senza paura, la sfida della fraternità, anche quando richiede fatiche e rinunce. Il nostro mondo, e anche la Chiesa, hanno bisogno di testimoni di fraternità nei Paesi dove siamo in missione, spesso segnati da divisioni e conflitti, perché la gioia del Vangelo riempie la vita della comunità dei discepoli; la gioia missionaria ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono”.

Le molte difficoltà che stiamo attraversando ci invitano ad accogliere umilmente queste parole di Papa Francesco e a rivedere le modalità degli invii missionari, a superare paure, superficialità e improvvisazioni perché c’è in gioco il vero bene delle persone, l’autenticità della missione secondo il nostro carisma e la vita della Congregazione.  

P. Diego Spadotto, CSCh

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