Sinodo, è anche un tempo per fare “memoria” e per “ascoltare” i nostri Santi. La vita dei religiosi Cavanis, può riprendere vitalità se si rimettono in cammino nello spirito del venerabile P. Antonio, se il loro cuore batte all’unisono con quello di Cristo e se ascoltano lo Spirito che parla per mezzo di bambini e giovani e di quanti si dedicano alla loro formazione. La Congregazione, da sempre, soffre per “carenza di operai” e ”abbondanza della messe”, questo non impedisce di avanzare verso il futuro con modestia e sentimenti sinceri di appartenenza e fraternità.
“Non sono gli studi che fai ma le persone che incontri lungo il cammino della vita che aiutano a formare e solidificare la tua spiritualità”.
Basta lasciarsi guidare dalla santità dei nostri Santi per affrontare i problemi concreti della mancanza di mezzi e di altre molteplici limitazioni. Il tempo del Sinodo è prezioso e non va sciupato in parole vuote o con atteggiamenti di superficialità, va santificato con personale e convinta partecipazione. É grazia di Dio, non è un evento, è spiritualità di gioia e fragilità, di fiducia e speranza, di gratuità accogliente della “povera figliolanza”.
Il pettegolezzo supponente che banalizza il cammino sinodale, muore quando incontra le orecchie di una persona intelligente, che vive con gratitudine la più grande delle virtù, madre di tutte le altre, la Carità.
Quando cerchiamo di sondare le ragioni profonde della crisi della vita consacrata, inevitabilmente ci si imbatte nella crescente difficoltà che noi religiosi abbiamo di essere credibili agli occhi della gente del nostro tempo e della gioventù, in particolare. Per alcuni la crisi è irreversibile, sono quelli che hanno con la Congregazione un rapporto distruttivo, quasi diabolico, e provano una sorta di morboso godimento quando dicono: la “vita religiosa è finita”.
Per altri si tratta di una fase di purificazione e crescita, e sono quelli che sulle orme di Gesù, accettano radicalmente l’incertezza sul futuro e sono certi che il Signore porta a compimento quello che lui stesso ha iniziato. La fede di un singolo non esiste senza la relazione con la fede degli altri che credono e sperano. Vivere di questa fede vuol dire vivere dell’amore di Dio che si manifesta nel paziente apprendistato dell’amore fraterno. Il futuro della Congregazione dipende anche dalla capacità delle nostre comunità religiose di esercitare la missione di Gesù tra i giovani in modo tale che il Vangelo possa toccare il loro cuore.
La gioia di fare tutto il possibile per raggiungere gratuitamente i giovani, dona alle nostre comunità religiose la forza di vivere la “condizione di minoranza”, sapendo che solo Dio Padre è maestro dei cuori giovanili. La Congregazione non vive per se stessa e la preoccupazione per la sua sopravvivenza non può far parte delle sue priorità. Lo abbiamo capito? Essere a servizio della “povera figliolanza dispersa” alla maniera del servo Gesù, fa parte della sua ultima ragione di essere.
I mezzi, anche quelli più moderni, e il modo con cui sono utilizzati, non possono mai prendere il sopravvento sul fine della congregazione, altrimenti ogni rinnovamento si esaurisce molto presto, per non aver attinto alla “sorgente” della spiritualità Cavanis. Le questioni riguardanti la Congregazione e la sua struttura, devono essere poste a partire dalla fecondità del Vangelo che essa trasmette, e non in funzione della mancanza di religiosi per “portare avanti” le opere.
Per intercessione di P. Antonio, Gesù doni la vista e l’udito a quelli tra noi che sono ciechi e sordi alla presenza dello Spirito, affinché riscoprano la gratuità della vita ricevuta e donata ai giovani con “viscere di misericordia” e “mistica della fraternità” (Francesco). Dio non risponde alla violenza verbale di quanti criticano il Sinodo, “tace”, come Gesù quando insultato e dona gioia a quanti sono in “cammino sinodale di fraternità, carovana di solidarietà samaritana, santo pellegrinaggio”.
La gioia possiede la misteriosa capacità di “far uscire” da se stesso chi ne è “ricolmo” e di metterlo al centro di ciò che percepisce come dono di Dio, “datore di ogni bene”. Il Sinodo è dono di Dio, arricchisce chi lo riceve e quando trasmesso ad altri, li ricolma di gioia. Anche se oggi sembra fuori moda usare la parola “Dio”, perché troppi abomini l’uomo ha commesso in suo nome, noi lo invochiamo.
P. Diego Spadotto, CSCh