La notte che cambia la storia: l’Infinito si fa finito, il «vasaio diventa egli stesso argilla»

“Per il Signore, non siamo mai estranei, ma figli attesi. E la Chiesa è la casa di Dio: qui, dunque, sentitevi sempre a casa”.

Formazione.
Formazione.

Il Natale di Gesù è al centro di innumerevoli controversie ma ha avuto, spesso, la fortuna di essere stato salvato più volte dai suoi nemici. Come molte altre belle realtà, ha sofferto di più per la freddezza dei suoi amici scettici che non per il calore dei suoi nemici fanatici. Il fanatismo dei suoi detrattori ha solo incoraggiato i fedeli alla sfida e ha confermato l’importanza della celebrazione. Ma, se la trasformiamo in una routine, rischia di scomparire.

La celebrazione è l’esatto opposto della routine. L’essenza della celebrazione sta nel compiere qualcosa di significativo. Il Natale viene celebrato in quanto ha un significato. L’essenza della routine sta invece nella sua insignificanza. Colui che celebra è consapevole di ciò che sta facendo. L’Evangelista Luca dice che Maria«diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (2,7). 

Gesù viene deposto in una mangiatoia, che in latino si dice praesepium, da cui presepe. Entrando in questo mondo, il Figlio di Dio trova posto dove gli animali vanno a mangiare. Il fieno diventa il primo giaciglio per Colui che si rivelerà come«il pane disceso dal cielo» (Gv 6,41). “Adagiato in una mangiatoia, divenne nostro cibo”.

Nella Messa a San Pietro celebrata in rito zairese per i 25 anni dalla nascita della Cappellania cattolica congolese di Roma, il Papa ha pregato per la pace in Repubblica Democratica del Congo e invitato ad aprirsi agli altri senza pensare ad accumulare beni materiali. Il consumismo è un virus che attacca la fede.

La Messa valorizza la tradizione stilistica orale africana, la partecipazione attiva all’assemblea con danze e canti accompagnati da strumenti tradizionali e l’invocazione degli antenati dal cuore retto che sono in comunione con Dio. 

“Per il Signore, non siamo mai estranei, ma figli attesi. E la Chiesa è la casa di Dio: qui, dunque, sentitevi sempre a casa”. 

A volte, tuttavia, si può rispondere di “no” all’invito del Signore ad andare da Lui, come “ai giorni di Noè”, quando  tutti riducevano la vita ai loro bisogni, “non c’era attesa di qualcuno, soltanto la pretesa di avere qualcosa per sé, da consumare. Il consumismo è un virus che intacca la fede alla radice, perché ti fa credere che la vita dipenda solo da quello che hai, e così ti dimentichi di Dio che ti viene incontro e di chi ti sta accanto. Il Signore viene, ma segui piuttosto gli appetiti che ti vengono; il fratello bussa alla tua porta, ma ti dà fastidio. E’ questo l’atteggiamento egoistico del consumismo”.

Dipendere dai consumi, infatti, “anestetizza il cuore”, perché “si vive di cose e non si sa più per cosa”. “Si hanno tanti beni, ma non si fa più il bene” e “le case si riempiono di cose, ma si svuotano di figli”, “si butta via il tempo nei passatempi,  ma non si ha tempo per Dio e per gli altri”. Quando si vive per le cose, le cose non bastano mai, l’avidità cresce e gli altri diventano intralci nella corsa e così si finisce per sentirsi minacciati e, sempre insoddisfatti e arrabbiati, si alza il livello dell’odio: “Io voglio di più. Oggi là dove il consumismo impera: quanta violenza, anche solo verbale, quanta rabbia e voglia di cercare un nemico a tutti i costi! Così, mentre il mondo è pieno di armi che provocano morti, non ci accorgiamo che continuiamo ad armare il cuore di rabbia”. 

Gesù vuole ridestarci da tutto questo, invitandoci a vegliare e non cedere al sonno che avvolge tutti, con la speranza che la notte non durerà per sempre e presto arriverà l’alba.

Ora, sta a noi il compito di vigilare, di vincere la tentazione che il senso della vita è accumulare, “smascherare l’inganno che si è felici se si hanno tante cose. Bisogna resistere alle luci abbaglianti dei consumi, che brilleranno ovunque in questo mese, e credere che la preghiera e la carità non sono tempo perso”, sono “tesori più grandi”. 

Solo così, quando il cuore si apre al Signore e ai fratelli, le spade si faranno aratri e le lance si faranno falci e, come dice Isaia “una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione” e non si imparerà più l’arte della guerra per avere sempre di più e dominare.

P. Diego Spadotto, CSCh

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