“Una voce di lamento e un pianto amaro sale da Rama. È Rachele che piange i suoi figli. Non può essere consolata perché essi non sono più” (Ger 31, 15). Il canto del ritorno dall’esilio è spezzato da questo urlo materno. Rachele, moglie di Giacobbe, era morta a Rama dando alla luce Beniamino.
A Rama erano stati aperti i campi di raduno degli esuli ed è là che il profeta Geremia immagina che la donna torni a piangere i figli di Israele deportati e mai più tornati.
È un lamento per tutte le vittime innocenti; Matteo l’applicherà ai bambini uccisi da Erode ((2, 17-18); P. Antonio e P. Marco Cavanis l’applicheranno ai bambini e giovani “dispersi”, nella Venezia del loro tempo. Ora, dopo l’ultimo Capitolo generale, si tratta di dare un senso vero alla nostra vita Cavanis.
Dare un senso qualsiasi conduce fuori strada. Il profeta Geremia suggerisce: “mi sono smarrito, ma mi sono pentito, mi sono ravveduto, mi sono battuto il petto, mi sono vergognato e umiliato” (Ger 31, 19). Si succedono ben cinque espressioni di vero pentimento.
Ora le nuove scelte devono essere radicali. Nella notte gelida della “povera gioventù dispersa” e degli oppressi c’è una presenza, è quella di un Bambino che nasce in una grotta ed è posto in una mangiatoia.
L’arte del discernimento si impara esercitandosi con pazienza e umiltà. Non è facile saperlo fare. Spesso leggiamo la nostra vita e i segni dei tempi in maniera emotiva, sentimentale o intellettuale, senza mai riuscire a coglierne il significato. La lettura corretta non risiede nelle proprie sensazioni, nei propri ragionamenti, ma nella capacità di saper vedere le cose come le vede Dio.
Solo la frequenza assidua alla Parola di Dio dona lo sguardo di Dio sulla vita e sulla storia. Più viviamo una relazione profonda con la Parola di Dio più vediamo le cose come Lui le vede. Senza questa lettura costante il discernimento si riduce alla lettura delle nostre ferite, delle nostre paure, delle nostre aspettative.
Certamente rimane sempre una porzione di mistero in ogni lettura e questo ci fa crescere nella fede: Dio solo sa, vede e può, dicevano i Cavanis, “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
A riguardo della lettura assidua delle Parola di Dio che aiuta il discernimento, San Girolamo scriveva all’amico Paolino: “Purtroppo c’è una scienza delle Scritture che tutti rivendicano per se stessi. La chiacchierona, il rimbambito, il parolaio la considerano loro dominio, la straziano, la insegnano prima di averla imparata. Altri, misurando grandi parole, filosofano sulle Scritture. Altri, più sfrontatamente, spiegano agli altri quello che essi stessi non comprendono”.Gli insegnamenti della Parola di Dio non sono “facili”, Il Signore ti offre il “frutto” ma dobbiamo essere noi a masticarlo con perseveranza.
I discernimenti “umorali” secondo santa Teresa d’Avila sono “sciocche devozioni di santi dalla faccia triste”, che parlano tanto che non si vede come possano avere il tempo per imparare e sapere qualcosa.
Anche nella nostra preghiera parliamo tanto e crediamo che Dio non ci ascolti, in realtà siamo noi che non abbiamo la pazienza di ascoltare le sue risposte.
La nostra vita si svolge tra due poli opposti: la nostra povertà e la misericordia del Padre , i beni più preziosi non sono “conquistati” ma attesi ed accolti. “…Tu sei per me un figlio carissimo…ogni volta che ti rimprovero, poi ti ricordo più intensamente. Si commuovono le mie viscere e provo una sconfinata tenerezza” (Ger. 31,20).
In Dio i sentimenti di paternità e maternità (le viscere) si fondono in un amore totale. L’uomo è oggetto di una “tenerezza sconfinata” da parte di Dio, non può sentirsi abbandonato. Anche nella Chiesa brulicano i faccendieri, ma sono rari gli “operai della messe” che lavorano insieme e fanno discernimento comunitario, in umiltà: “Se non riesci a parlare di Dio a tuo fratello, parla allora di lui a Dio perché gli apra il cuore” (D. Bonhoeffer).
In tutto quello che è umano l’amore è la sola cosa che non ha bisogno di spiegazioni. Quelli che si “spiegano” continuamente stanno per separarsi o sono già separati di fatto. Non è perché le cose sono difficili che noi Cavanis non osiamo, ma è perché non osiamo nel discernimento che sono difficili.
P. Diego Spadotto, CSCh