La “speranza di frutto” è più efficace dell’ottimismo festivo

La speranza è una forza molto più potente.

Esiste una parola per indicare la convinzione di poter rendere le cose migliori senza distorcere la realtà: non è l’ottimismo, ma la speranza. Così la pensavano P. Antonio e P. Marco Cavanis. L’ottimismo non è il modo migliore per migliorare se stessi e la società.

La speranza è una forza molto più potente. Possiamo tutti migliorare sotto questo aspetto, mentre cerchiamo di riprenderci dalla pandemia, e beneficiare per il resto della nostra vita Cavanis di questa nostra nuova capacità.

Le persone tendono a usare le parole speranza e ottimismo come sinonimi, ma questo non è corretto. L’ottimismo è la convinzione che le cose alla fine andranno bene. La speranza non fa questo genere di supposizioni, ma è piuttosto la convinzione che si possa agire per migliorare le cose in un modo o nell’altro. Speranza e ottimismo possono presentarsi assieme, ma non per forza.

Tenuto conto del fatto che la speranza implica un’azione personale, i suoi legami con il successo individuale non dovrebbero sorprenderci. La speranza é “il voler fare qualcosa e trovare un modo per farlo”. La speranza è più di una “gradita presenza” per quanti lavorano nel campo dell’educazione della gioventù. La sua assenza è disastrosa. Implica un’azione volontaria, non semplicemente una felice predizione. I Cavanis, sanno che la speranza deriva dalla volontà e dall’impegno: “vigilando, non per forza ma volentieri…non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando…ma facendosi modelli del gregge” (1Pt 5, 1-4). 

Immaginiamo  un futuro migliore nel mondo dell’educazione e individuiamo i dettagli che lo rendono tale nel contesto in cui viviamo. Quando, come in questi tempi, ci sentiamo, genitori ed educatori, un po’ senza speranza, cominciamo a cambiare atteggiamento.  Non limitiamoci a sognare un futuro fittizio, ma facciamo una lista degli elementi specifici che sarebbero migliori per un’educazione efficace: presenza e impegno con i ragazzi, coinvolgimento fattivo in politiche pubbliche migliori, una maggiore attenzione e contrasto operativo contro i pericoli che corre “la povera gioventù dispersa”.

Passiamo all’azione. Se ci fermiamo al primo passo, convincendoci che verranno giorni migliori, siamo solo ottimisti, ma non ancora “forti nella speranza”. Limitarsi a immaginare un futuro migliore non lo renderà tale. Può però essere d’aiuto quando modifica il nostro comportamento personale, facendoci passare dalla protesta o dalla lamentela all’azione.

Il secondo passo è attivare un nostro contributo personale alla realizzazione di una attività educativa concreta possibile, sia pure a un livello micro, nel luogo dove ci troviamo a vivere come educatori Cavanis. Evitiamo l’illusione di essere degli invincibili salvatori. Aiutiamo piuttosto alcuni ragazzi o alcune famiglie povere ad affrontare le difficoltà della vita quotidiana per potere andare a scuola o per avere condizioni minime di vita. 

Armati di “speranza di frutto”, possiamo fare passi concreti e importanti per piccoli o grandi cambiamenti di mentalità e di azione, portate avanti  con efficacia non da protagonisti solitari ma insieme a confratelli e laici, senza l’ambizione di essere i migliori, come ci hanno insegnato P. Antonio e P. Marco Cavanis, la maggior parte delle opere realizzate da protagonisti solitari e narcisisti sono già morte o destinate a morire. Le nostre azioni legate al carisma potrebbero sembrare un esercizio futile, proprio perché così piccole. È la voce dello sconforto che risuona in testa. San Giuseppe Calasanzio, i nostri santi Fondatori ci hanno testimoniato come la grandezza di un’azione non risieda solo nel suo impatto sul mondo, ma nell’amore con cui la si compie.

Esso può cambiare il cuore e contagiare i cuori di altri, quando vedono l’effetto che la pratica della “speranza di frutto” e dell’amore, hanno su tante persone: “Non tutti possiamo fare grandi cose, ma possiamo fare piccole cose con grande amore”. Ovunque siamo se non testimoniamo “speranza di frutto” e “perfetta carità” possiamo perdere il nostro carisma. Le opere non fanno il carisma, sono indicate da Dio per comunicarlo. È duro accettare questo, ma è necessario.

P. Diego Spadotto, CSCh

Cerca