In questi giorni, e non è la prima volta, papa Francesco ha invitato la vita consacrata a non scoraggiarsi per la mancanza di vocazioni e l’invecchiamento, ma a rinnovare nello spirito del proprio carisma l’opzione per i poveri, la fraternità senza frontiere culturali o etniche, l’incontro tra le diverse generazioni presenti in congregazione, la missione “in uscita”… “La vita consacrata non può mancare nella Chiesa e nel mondo”.
Scoraggiarsi per la mancanza di vocazioni e l’invecchiamento è una tentazione da vincere con la fede e un processo sincero di conversione.
Quelli che si lasciano prendere dal pessimismo mettono da parte la fede e scelgono la via più “larga” che non porta alla salvezza personale e della Congregazione. Il Signore della storia ci sostiene e ci invita alla fedeltà e alla fecondità. Bisogna fidarsi dello Spirito.
Quanto più ci accostiamo alla vita religiosa attraverso la Parola di Dio, la storia e la creatività dei Fondatori, tanto più diventiamo capaci di vivere il futuro con speranza. Continua, papa Francesco:“C’è chi si concentra troppo sull’esterno (le strutture, le attività…) e perde di vista la sovrabbondanza di grazia che c’è nelle persone e nelle comunità”.
Francesco, rimandando alla Costituzione Apostolica Veritatis gaudium, esorta a cercare sempre nuove strade per servire il Signore, senza paura, “a coltivate sempre di più lo stile di Dio, la vicinanza, la compassione e la tenerezza, mai stanchi di andare audaci alle frontiere, anche alle frontiere del pensiero”.
Poi sottolinea l’importanza dello studio e della convivenza di servizio con i poveri: “Trascurare la teologia, la riflessione, lo studio, le scienze impoverisce l’apostolato e favorisce la superficialità e la leggerezza nella missione (VC 98). I problemi del tempo attuale richiedono nuove analisi e nuove sintesi… Per incontrare veramente Cristo bisogna toccare il suo corpo, nel corpo ferito dei poveri… Quanti fondatori, fondatrici e persone consacrate hanno vissuto e vivono così”.
Anche noi Cavanis, dobbiamo interrogarci se i “corsi” continui che vogliamo fare sono finalizzati al nostro ego, ad avere un pezzo di carta in più o a “toccare il suo corpo nel corpo ferito dei poveri”, della sempre più povera e “dispersa gioventù”.
Dobbiamo umilmente ammettere e accettare l’inadeguatezza della nostra “pastorale giovanile”, figlia di epoche ormai passate, e ripensare la missione della Congregazione. Prendiamo atto che il nostro stile Cavanis in relazione alla gioventù, continua a parlare a giovani del passato e non alla luce di un cambiamento antropologico che sta accadendo con una velocità impressionante.
Questo cambiamento presuppone anche una riorganizzazione interna della Congregazione e la presa di coscienza che le difficoltà attuali della Congregazione sono di responsabilità di tutti e di ciascuno. Devono essere affrontate insieme e con spirito sinodale di servizio.Quando siamo giovani crediamo che la libertà sia l’autodeterminazione, cioè la possibilità di affermare che i propri passi sono scelti da noi e sono proprio quelli che vogliamo fare.
Oggi, è tempo di scoprire che la libertà autentica è partecipazione responsabile, frutto di un grande lavoro interiore perché è dentro di noi che abitano i blocchi, le paure, la diffidenza, le crisi di identità e vocazionali, tutti elementi che ci impediscono di essere realmente liberi e partecipativi.
Quando impariamo a conoscerli e a gestire il nostro inferno interiore, allora facciamo meno danni e possiamo davvero essere fratelli, in comunità Cavanis case e scuole di Carità. È la via “stretta” che Gesù presenta a quelli che vogliono seguirlo, spesso è un combattimento di liberazione continua. La liberazione è l’orizzonte verso cui tutti dobbiamo tendere.
A volte non siamo liberi di partecipare con responsabilità ai necessari cambiamenti della Congregazione, deleghiamo tutto ai superiori e ci mettiamo addosso delle maschere. Fortunatamente la vita ci offre delle occasioni in cui le maschere cadono. E questa è una di quelle occasioni provvidenziali. Ora dobbiamo scegliere di non indossare più nessuna maschera e di mettere a fuoco ciò che siamo realmente, religiosi Cavanis.
P. Diego Spadotto, CSCh