Non complicare ciò che è semplice

Fermi tutti! Quando riprenderemo a fare programmi, speriamo che siano con meno formule vecchie...

Formazione.
Formazione.

Se non ci mettiamo mai in discussione, ci pensa il Signore. Lo ha fatto nel tempo della pandemia, con il mondo, la Chiesa, e anche con noi. Dopo il Capitolo generale tutto era programmato, soluzioni incamminate, poi, improvvisamente, una percezione sottile di fragilità, di insicurezza, di sconcerto. Fermi tutti! Quando riprenderemo a fare programmi, speriamo che siano con meno formule vecchie, che garantiscono umili possibilità di vivere la vita consacrata senza la presunzione di possedere la verità su se stessi e le proprie idee. Speriamo che l’autoironia sia la strada maestra del comportamento. Il Papa ci offre alcune linee guida: “Non complicare ciò che è semplice. La Chiesa non è una dogana. Chi in qualsiasi modo partecipa alla missione della Chiesa è chiamato a non aggiungere pesi inutili sulle vite già affaticate delle persone; a non imporre cammini di formazione sofisticati e affannosi per godere di ciò che il Signore dona con facilità; a non mettere ostacoli a Gesù, che prega per ognuno di noi e vuole guarire tutti, salvare tutti”. La missione é “opera dello Spirito Santo” e non conseguenza delle nostre riflessioni e intenzioni. Questa caratteristica rende feconda la missione e la preserva da ogni presunta autosufficienza, dalla tentazione di prendere in ostaggio “la “carne di Cristo” per i propri progetti clericali di potere”.

Quando nella missione della Chiesa non si coglie e riconosce l’opera attuale ed efficace dello Spirito Santo, vuol dire che perfino le parole della missione, anche le più pensate, sono diventate come “discorsi di umana sapienza”, usati per dar gloria a sé stessi e mascherare i propri “deserti interiori”. La missione è attrattiva: “Se si segue Gesù felici di essere attratti da lui, gli altri se ne accorgono”. La missione è anche “gratitudine” e “gratuità” e serve per “facilitare, non complicare”. Un cuore missionario riconosce la condizione reale in cui si trovano le persone reali, con i loro limiti, i peccati, le fragilità, e si fa “debole con i deboli”. Ogni slancio missionario, inoltre, manifesta la predilezione vera, non verbosa, per i poveri e i piccoli come segno e riflesso della preferenza del Signore verso di loro. “Le persone coinvolte direttamente in iniziative e strutture missionarie della Chiesa non dovrebbero mai giustificare la loro disattenzione verso i poveri con la scusa di dover concentrare le proprie energie su incombenze prioritarie per la missione. La predilezione per i poveri non è per la Chiesa un’opzione facoltativa”. Nella missione Cavanis ci sono delle insidie, delle patologie da evitare: l’autoreferenzialità, l’ansia di comando, l’elitarismo, l’isolamento dalla vita dei ragazzi, l’astrazione, il funzionalismo. Sono insidie da sempre, occorre vigilare.

“La missione, è grazia e gioia che nessuno si può dare da solo. L’essere missionari significa riverberare il dono grande e immeritato che si è ricevuto, cioè riflettere la luce di un Altro, come fa la luna con il sole”. È quel mysterium lunae caro ai Padri della Chiesa dei primi secoli. La Chiesa vive della grazia di Cristo. Anche la Congregazione non brilla di luce propria.  Quando guarda troppo a sé stessa o confida nelle proprie capacità, finisce per essere autoreferenziale, non dona più luce e speranza ai giovani. Essa cresce nel mondo per attrazione. E se non cresce in qualche parte è perché non è attrattiva, ma è gestita come fosse un’azienda che funziona con i soldi non per la Provvidenza. Molte congregazioni sono finite in bancarotta per causa de persone che si vantavano di essere super esperte in economia. Bisogna arginare la tendenza a considerare la missione Cavanis come qualcosa da dirigere mediante programmi a tavolino, strategie economiche, calcoli (sempre a proprio favore, mai a favore della “povera gioventù dispersa).I tratti distintivi della missione Cavanis sono: gratitudine e gratuità, coinvolgimento e presenza educatrice con i ragazzi, prossimità alla loro vita là dove sono e così come sono, predilezione per i più poveri.

“Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione, con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio” (2Cor 1,3-4).

P. Diego Spadotto CSCh

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