Non crescere è già diminuire

La loro vita e le loro opere non sono più profetiche, rischiano di non attrarre più vocazioni.

La loro vita e le loro opere non sono più profetiche?

I cristiani, nei Paesi del benessere, da indifferenti sono diventati sfiduciati e impauriti. In questi stessi Paesi, dove molte congregazioni sono nate, i religiosi non possono far finta di non sapere, di continuare vivere un alibi, “in un altro luogo”, di non essere dove sono. La loro vita e le loro opere non sono più profetiche, rischiano di non attrarre più vocazioni. La realtà drammatica, non li scuote più di tanto, la guardano, la sfiorano, ma non li ferisce, come se un vetro spesso li separasse: vedono ma non sentono più niente.

Anestesia collettiva di sfiducia

Non si tratta di indifferenza, ma di qualcosa di più inquietante: anestesia collettiva di sfiducia. I giovani religiosi, vivono in solitudine relazionale dettata dalla paura di scomparire, senza mai aver scoperto la propria vocazione e il carisma. Sta avvenendo una “mutazione antropologica”: l’uomo nuovo del consumismo, scollegato da ogni legame comunitario, libero, una libertà svuotata, ridotta a spazio privato, senza relazioni vere. La realtà, quando è privata della sua densità simbolica e affettiva, diventa inconsistente. Se non ci tocca, semplicemente non esiste, è senza carne, senza volto, senza tempo. 

La posta in gioco è la libertà autentica

I giovani, per vivere e non solo sopravvivere in questo tempo di anestesia morale, hanno paura di avere un rapporto di impegno vocazionale di responsabilità. La posta in gioco è la libertà autentica, quella che crea legami. Una libertà che non si accontenta di essere liberi da, ma che sceglie di essere liberi per. Liberi per cambiare le cose, per non accettare la disuguaglianza come destino, per abitare i conflitti invece di negarli, per rigenerare le comunità, le istituzioni, i territori, “per dare voce a chi non ha voce, per scegliere l’umano, ogni volta che viene chiesto di scegliere tra l’umano e il funzionale, tra il giusto e l’utile, tra la verità e la convenienza”. Questa libertà ha bisogno di relazioni.

…una narrativa a riguardo che incute paura e incertezza

C’è una narrativa a riguardo della crisi vocazionale che incute paura e incertezza, paralizza e fa credere che ogni reazione sia inutile. La cosa grave è che non se ne oppone una capace di costruire una possibile via di uscita. Siamo a un passo dalla perdita di fiducia in tutto e in tutti. San Bernardo ha detto che “la parola va sfiancata fino a quando non se ne trae tutto il succo”. La parola, “pregare il padrone della messe”, va “sfiancata” nella fede ostinata e nell’impegno fattivo di cercare soluzioni possibili, “sperando contro ogni speranza”. 

Far valere la forza del diritto con carattere e competenza

Nella vita consacrata, i Superiori hanno l’obbligo di rendere conto del loro operato a tutti i confratelli. Nella società civile si chiama accuntability, per far valere la forza del diritto con carattere e competenza, invece che il diritto della forza. La responsabilità sulla situazione attuale della Congregazione, a riguardo della qualità e quantità dei suoi membri, la scarsità di vocazioni, di formatori e di formazione, è dei superiori e di tutti i confratelli e tutti ne devono rendere conto a Dio. 

L’improbabile non è l’impossibile

Si dice che “non crescere è già diminuire”, se non si cresce numericamente, se tutti non si prendono cura delle vocazioni, della loro solida formazione, della fedeltà al carisma, della crescita in competenza pastorale, della propria formazione permanente e aggiornamento continuo, si muore e la responsabilità è di tutti. Ora, quali sono le probabilità di crescita? L’improbabile non è l’impossibile. Tutte le vie nuove della storia sono state inattese. Si dice che l’intelligenza artificiale può far paura, ma la nostra intelligenza umana superficiale, e l’assenza di fede nella Provvidenza, fanno ancora più paura. Bisogna che ciascuno risvegli in se stesso la responsabilità personale e la fiducia in Dio, quella che avevano avuto i nostri Fondatori. Ripartiamo dal carisma!

Ripartiamo dal carisma!

Non bisogna mai chiudere gli occhi, né fingere di non vedere gli aspetti di sofferenza dei giovani e tornare a “servirli con passione e fedeltà”. Nessuno si senta un “condottiero solitario”, ma un umile operaio che mira a trasformare la sua umanità e la sua spiritualità per assumere la forma del Vangelo e “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”. Non possiamo dire che i giovani non hanno ideali per il servizio, la solidarietà, la missione, se non li abbiamo nemmeno noi, chiusi in un “ego sistema” che non aiuta a essere gioiosi e impegnati nella speranza e a rischiare per Cristo e per i giovani.

P. Diego Spadotto, CSCh

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