Non impariamo a vivere quando sarà troppo tardi!

La pazienza è necessaria “nella nostra vita personale per affrontare delusioni e frustrazioni che logorano la speranza in tante aspettative deluse..."

La vita senza una meta è vagabondaggio, e il linguaggio senza aderenza alla realtà è “menar il can per l’aia” con parole stanche, logore, inutili. La vita religiosa non rappresenta più una meta, non sa presentare il Risorto come meta gioiosa e sicura.

Il suo linguaggio è usurato, è come un vestito “fuori tempo”, o come “una biro consumata che ha fatto il suo servizio e non scrive più. Ostinarsi a usarla è inutile, si rischia di rovinare il foglio di carta… è una specie di “riserva indiana” con il suo linguaggio, i suoi riti, le sue abitudini…un museo che odora di antico…le persone non si pongono contro, ma altrove”.

I religiosi sembrano tutti “gente di poca fede” e la vita religiosa non riesce più a mostrare la bellezza del Vangelo per la vita concreta. Continua a dire la “Bella Notizia” ma non riesce più a viverla nelle comunità e famiglie religiose, dove “non basta proclamare il Vangelo, bisogna proclamarlo come Vangelo”. Durante la pandemia ha sofferto molto e ha dimostrato molti suoi limiti.

Ora deve ritrovare la fiducia nel Risorto, come gli apostoli. Ha bisogno di riscoprire mete coraggiose e un linguaggio intriso di grazia, di fede e di bellezza, “un linguaggio che non punti solo a generare conoscenza di norme, ma fiducia nel Risorto”. 

Inoltre, a livello di governo, essa deve superare la confusione tra “leadership e management”. Si può essere un bravo manager senza essere leader. La virtù del leader è quella saggezza pratica con visione profetica che prende iniziative, favorisce la sussidiarietà, è esercizio di autorità.

Prendere iniziative è difficile, quando si ha una mentalità da museo. Lo stile di governo del “buon gestore” è legalista, non é quello di leader che fa scelte profetiche, con il coraggio di correre anche qualche rischio. L’indagine “Gente di poca fede” (F. Garelli) mostra che questa situazione è stata provocata dalla mancanza di progetti a lunga scadenza che richiedono pazienza e fiducia, e da carenza di prospettive di speranza, come insiste da tempo Papa Francesco. La vita religiosa non è immune dell’idolo postmoderno dell’immediatismo e della “globalizzazione dell’indifferenza”. Il Signore invece è paziente e misericordioso.

La pazienza è una virtù necessaria per tutti, aiuta a saper ascoltare. Purtroppo non né una cosa scontata né tanto meno diffusa. È un segno di fortezza d’animo, non ha niente a che vedere con l’indecisione, é perseverare nel bene e l’essere creativi, per trovare vie di uscita anche quando tutto sembra perduto. L’agitazione, il pessimismo, i calcoli meschini di certo non servono a questo. Chi agisce così, non fa storia, solleva solo la sua polvere, va avanti facendo scelte di una improvvisazione personalista deprimente. 

La pazienza è necessaria “nella nostra vita personale per affrontare delusioni e frustrazioni che logorano la speranza in tante aspettative deluse. La pazienza ci fa superare persino la tristezza; in secondo luogo è necessaria nella vita di comunità, nelle relazioni interpersonali e nella condivisione di progetti; in terzo luogo la pazienza è necessaria nei confronti del mondo per non restare prigionieri delle lamentele”. Serve pazienza per attendere i modi e i tempi di Dio, ci dicono i Fondatori Cavanis.

Dio è sempre fedele alle sue promesse. Pazienza per continuare a camminare, per esplorare strade nuove, per cercare cosa lo Spirito ci suggerisce. Pazienza e discernimento sui propri desideri di autorealizzazione, “sulla globalizzazione dell’indifferenza e sull’ignoranza dell’idiota giulivo, libera nos Domine” (G. Albanese).

Gli impazienti vogliono specializzarsi in ciò che non sono capaci di fare, hanno dimenticato che la coscienza critica è l’unica compagna nei giorni difficili, per non giudicare Dio dagli sbagli dei suoi figli. La vita religiosa potrà rifiorire solo se riuscirà a coinvolgere l’immaginazione dei giovani, a riaccendere la fiamma della missione e a ravvivare la fede spenta e addomesticata, come in questo tempo di pandemia. 

I giovani sanno che la vita non si riduce a elettricità cerebrale e pulsazione sanguigna; è dinamica e orientata a un fine e alla ricerca di nuove mete. Ma anche alla «generazione fiocco di neve», va ribadito che la vita è un’avventura rischiosa come il Vangelo. In essa la presenza di Dio, però, non è mai assente. 

P. Diego Spadotto, CSCh

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