“Il mondo sembra andare come sempre. Non c’è nulla di celeste sul volto della società; nelle notizie del giorno non c’è niente di celeste; sui volti dei molti, dei grandi, o dei ricchi, o degli indaffarati, non vi è nulla di celeste; nelle parole degli eloquenti o negli atti dei potenti o nei consigli dei saggi o nelle decisioni dei superbi o nei fasti dei ricchi, non v’è nulla di celeste. Tuttavia lo Spirito Santo, sempre benedetto, è qui. L’Eterno Figlio, dieci volte più glorioso, più potente di quando calpestò la terra incarnandosi sulla terra, il più potente, il più silenzioso, il più grande. È qui con noi. Ricordiamo sempre questa verità divina, più la mano di Dio è segreta, più è potente; più è silenziosa, più è grande” (San John Henry Newman 1801 – 1890).
“La c’è la Provvidenza!” Ma chi la invoca? I giorni che stiamo vivendo e quelli che l’umanità vivrà a seguito della pandemia di Covid19, sono giorni di sofferenza e di cambiamenti epocali in termini sociali, economici e spirituali. Molti, per orientarsi nel presente e nel futuro, continueranno a cercare qualcosa in cui credere, forse non cercano in chi credere. In questa drammatica situazione, come nell’antico popolo di Israele, i profeti di sventura abituati a dominare gli altri con le loro minacce e bugie, predicano paura e insicurezza. I profeti del Signore, invece, anche nelle peggiori disfatte seminano speranza: “Ti ho amato di un amore eterno, per questo ti conservo pietà…di nuovo pianterai vigne e i piantatori, dopo aver piantato, raccoglieranno” (Ger 31, 2-5). I nostri santi Fondatori, hanno saputo in chi credere e affidarsi. Hanno affrontato privazioni e disfatte, umiliazioni e perdite dolorose di confratelli e di beni materiali. Si sono fidati alla Provvidenza divina e, con il niente che era rimasto, hanno sempre ricominciato a mettere a frutto il carisma ricevuto dallo Spirito. Non lo hanno sepolto, né abbandonato, né si sono pianti addosso. Hanno e “piantato vigne e i piantatori hanno raccolto”.
Tutti i santi fondatori di Congregazioni religiose, le hanno iniziate fidandosi della Provvidenza. Qualcuna di queste Congregazioni con il passar del tempo, è diventata una holding, la nostra, grazie alla Provvidenza, ai Fondatori e ai primi loro successori è cresciuta tra “angustie e strettezze”. La Provvidenza si manifestava nella “paternità” di quanti si dedicavano gratuitamente ai bambini e ai ragazzi, vissuti come “figli”, servendo i poveri, come realmente poveri. I sentimenti paterni e filiali vengono da Dio e si capisce cosa è per un religioso o sacerdote Cavanis essere “padre” di tanta “povera gioventù dispersa”. Giovani poveri non sono soltanto quelli che vivono nella miseria, ma anche tanti che vivono senza prospettive, senza speranza, privi di cultura e di relazioni umane. Dio arriva ai giovani poveri attraverso dei “padri” che li amano come “figli”, arriva attraverso la generosità di quanti aprono il loro cuore all’aiuto materiale, libero e generoso. La Provvidenza, non arriva attraverso le chiacchiere sui giovani senza mai ascoltarli e convivere con loro, e non va d’accordo con l’economia e la finanza dei nostri giorni, è Carità, è dedizione!
La posta in gioco è alta, quando ci si affida alla Provvidenza divina. Si tratta di abbandonarsi a Dio o desistere di lottare e di sperare: “Infatti Egli ha detto: io non ti lascerò mai né ti abbandonerò. Cosicché possiamo dire con fiducia: il Signore è mio aiuto, non temerò. Che cosa mi potrà fare l’uomo?”(Eb 13, 5-6). Il dilemma è folgorante: fiducia come abbandono totale a Dio oppure imboscarsi e ridursi a fare di tutto fuorché quello che dovevamo fare. L’abbandonarsi in Dio non è un cieco salto nel buio, ha una sua razionalità umana e obbiettività, é sinergia tra volontà divina e libertà umana. Il coraggio di P. Antonio e P. Marco Cavanis, che liberamente scelgono di fidarsi di Dio, nasce dalla loro sapienza perspicace, non è ingenuo pragmatismo ma intenso e santo timor di Dio.La salvezza è un dono gratuito del Signore, non è merce contrattabile. La debolezza diventa fortezza, la fiducia/sfida come se tutto dipendesse da noi “etsi Deus non daretur”. “Essendo l’Istitutotutto unicamente affidato alla Provvidenza divina, da cui sempre furono confortati degli opportuni soccorsi, giustamente confidano di esserlo ancora per l’avvenire, onde proseguire il caritatevole ministero”. I nostri Fondatori erano convinti di essere stati “sempre confortati” dalla Provvidenza in un contesto storico, culturale e sociale di Venezia e del Veneto, nella prima metà dell’800, veramente terribile. La loro avventura è stata una follia, “nella serena certezza che il Padre non abbandona mai chi si fida della sua Provvidenza”.
Lo storico G. Gullino, in Storia delle Repubblica Veneta, la Serenissima, per secoli considerata lo stato perfetto, riassume così i primi 50 anni dell’800 in Venezia e nel Veneto:
Il periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione Francese e alla caduta della Repubblica Veneta, è ancora relativamente poco conosciuto. I veneziani e gli studiosi sono stati, più o meno inconsciamente coinvolti da una sorta di processo di rimozione della memoria, ammutoliti dalla scomparsa di uno Stato che, sino a un paio di secoli prima, si estendeva da Bergamo a Cipro (e con Cipro siamo geograficamente in Asia), dalle Alpi nevose ai mari caldi del Levante, e che comprendeva popolazioni di etnie, lingue, culture, religioni, economie, strutture sociali diversissime: lombardi, veneti, friulani, istriani, dalmati, morlacchi, albanesi, greci, per non parlare delle numerose comunità di ebrei, tedeschi, armeni, turchi, presenti nei territori di Venezia. Dopo la breve stagione della Municipalità democratica del 1797, la prima dominazione austriaca (1798-1805), poi quella napoleonica (1806-1814), di nuovo quella austriaca, dal 1815 al 1866, con l’interruzione della parentesi rivoluzionaria del 1848-49, si assiste all’effimero ripescaggio della Repubblica di San Marco, ad opera di Manin e Tommaseo. Siamo nell’ultima manciata d’anni della Serenissima, un’epoca su cui le valutazioni degli studiosi sono diverse: di solito positive per gli storici dell’arte e della letteratura, invece sono negativi i giudizi degli storici dell’economia e soprattutto della politica, che si trovano a dover registrare il crollo di un sistema plurisecolare.
Il quadro di massima è questo: a un’economia regionale che presenta aspetti interessanti, e talora positivi, fa da contrappeso quella della città di Venezia che vive dell’industria del lusso e dei servizi, i quali le derivano dal rango di capitale e dal turismo. Nelle campagne assistiamo al sorgere delle accademie agrarie, accompagnate da molteplici iniziative agronomiche, e nella fascia prealpina a quello della protoindustria, che si sviluppa dai lanifici, nelle telerie, nelle cartiere che assicurano alla Serenissima il monopolio della fornitura della carta a tutto l’impero ottomano. A Venezia, invece, solo l’industria tipografica, la Zecca e l’arsenale assorbono operai e producono beni; tutto il resto è frutto di un’economia parassitaria: si va dalla richiesta di servizi alimentata dalla presenza di un patriziato che è classe di governo, al Ridotto (il Casinò di allora), ai teatri, al turismo, che poggia su un Carnevale che si protrae per oltre due mesi (durante i quali, come è noto, le scuole restavano chiuse; in compenso, le vacanze estive erano limitate a un paio di settimane).
Si registra, inoltre, un peggioramento climatico, la cui fase estrema si evidenzia a partire dal 1770 e culmina con la grande, biblica carestia del 1816-17; tra il 1797 e il 1814, in particolare, ben sette anni (1804, 1805, 1806, 1810, 1812, 1813, 1814) furono dominati dal freddo e, tra questi, tre (1806, 1812, 1813) vennero ricordati come «trascorsi senza estate». La laguna gelò nel 1788, 1808, 1814; frequentissime anche, in un periodo tanto piovoso, le inondazioni e gli straripamenti dei fiumi, sicché non c’è da stupirsi se dei diciotto raccolti compresi tra 1797 e 1814, otto furono cattivi, sette buoni e tre mediocri. Poi, l’endemico stato conflittuale: in questo periodo il Veneto fu interessato da ben quattro guerre condotte in loco: maggio 1796-ottobre 1797; luglio 1800-marzo 1801; ottobre–dicembre 1805; novembre 1813 – febbraio ’14; ovviamente, non mancarono rivolte contadine e incursioni militari. Venezia, poi, subisce anche due blocchi navali ad opera degli inglesi, nel 1801 e nel 1813-14, quest’ ultimo durissimo, sicché passa dai 145.000 abitanti del 1797 ai 125.000 del 1812, ai 100.000 del 1820. Per quanto riguarda la pressione fiscale dal 1796 al 1812 si registra un incremento del 680%.
La misura del collasso è data dalla rapida scomparsa del patriziato, un fenomeno le cui dimensioni non trovano riscontro presso gli altri Stati italiani. Il 1° febbraio 1817 l’arciduca Ranieri, nel comunicare all’imperatore, suo fratello, le impressioni tratte da un viaggio di ispezione nelle province lombardo-venete, insiste sullo squallore del tessuto sociale veneziano: dappertutto palazzi cadenti, dappertutto rovine, dappertutto miseria indolenza e schiere di disoccupati e mendicanti; qualche anno più tardi, in una relazione allo stesso imperatore, Francesco I, datata 1° luglio 1825, il patriarca Pyrker scrive: «Non si odono che lamenti di negozianti caduti nell’estrema indigenza, di capitani mercantili che si querelano del loro ozio, di marinai, di fabbricatori, di artigiani e barcaioli licenziati dai loro padroni, senza saper dove ricorrere e a quale occupazione dedicarsi per provvedere alla esistenza delle numerose loro famiglie»; secondo il patriarca, in città i poveri erano 40.000.
I Fondatori hanno dovuto affrontare: confusione, scoraggiamento, povertà e miseria, perdita di riferimenti sicuri nel labirinto della burocrazia, mancanza di mezzi di sussistenza, insalubrità e malattie, continui cambi di governo, educazione allo sbando. Portano avanti la loro opera e la loro missione “per la strada del “no” si arriva al “sì”, c’è la Provvidenza. Cercano “benefattori”, strumenti della Provvidenza, per il pane quotidiano, per l’acquisto dell’edificio della scuola; per trovare e sostenere la formazione di buoni educatori. “Aiutati che il ciel ti aiuta”, combattono strenuamente per dimostrare che la loro scuola, in quanto opera pia, ha diritto all’esenzione da una tassa, imposta come prestito forzoso. Chiedono che ne sia esonerata e siano restituite anche le due rate già versate. Danno tutto di se stessi e dei loro beni, non hanno buone condizioni di salute, ma lavorano: “animati dalla carità la quale offre tutto, e dalla religiosa fiducia nella Provvidenza divina, la quale sempre all’uopo soccorre chiunque in essa confida”.
Anche oggi, il mondo e la storia procedono da soli, l’insensibilità dei buoni e la corruzione dei malvagi sembrano aumentare e sopraffare il bene, ma Dio è sempre attivamente presente e agisce. La Provvidenza non è mai teorica o passiva, cammina secondo il ritmo ordinario delle cose, responsabilizzando e aspettando la collaborazione dell’uomo. Scrive P. Antonio a P. Marco: “Io pur sto difeso con la Provvidenza ordinaria, che ha fatto supplire all’occorrente fin qui, e sono certo che provvederà anche in seguito bastantemente…Fin qui la Provvidenza ha vegliato amorosamente; sarebbe delitto temer che non vegli anche in seguito”. Sono più che mai convinti che la Provvidenza divina veglia e insegna. Caso contrario, sarebbe perfettamente inutile che avesse dato loro talenti e tante possibilità:“Per carità cogliete con ogni studio questa bella occasione che vi presenta la Provvidenza amorosa, e prendete quanto più potete di lena per sostenere anche gli altri in momenti di tanta importanza e di tanta necessità”.
L’agire di Dio si manifesta nel silenzio e quasi misteriosamente. Molte volte si pensa che il Signore è assente o non ascolta la nostra preghiera e non vede le nostre necessità. Accadono nella vita cose piacevoli e meno piacevoli, al momento non capiamo il significato e non vediamo la mano di Dio. Anche i nostri Fondatori, a volte, hanno confessato di non capire l’agire di Dio, ma hanno continuato a fidarsi di lui, non hanno perso la serenità e lo spirito di preghiera, hanno aspettato i “ritardi” del Signore: “Sicut Domino placuit ita factum est: sit nomen Domini benedictum…Ci é giunto pur finalmente il decreto in ogni sua parte amarissimo, e negativo; e dopo una tempesta terribile di tre anni abbiamo alfin naufragato in porto. Adoriamo le divine disposizioni. Aspettiamo qualche conforto dalla Provvidenza divina”.
La fiducia appartiene a quel gruppo di sentimenti profondi che strutturano l’esperienza umana. Essa è correlata all’uomo nel rapportarsi con se stesso, con gli altri e con il Padre che vede e provvede. Diventa rifugiarsi nel Signore, sentirsi protetti ecustoditi. Laconfidenza filiale nel Padre, é l’orientamento fondamentale di tutta la loro vita, nei ritmi del tempo e delle vicende umane. Sperano nel Signore, da lui verrà il soccorso al momento opportuno. Chi confida nella Provvidenza non resterà confuso né disilluso, abbandonarsi ad essa non è ingenuità, né sentimento di impotenza, ma costituisce, con l’umiltà, la chiave per entrare nel Regno di Dio:“Vedete in qual prezioso rifugio di pace e di sicurezza si è degnata di collocarmi dopo le sofferte tempeste la Provvidenza divina. Ci disponiamo ad ottenere la divina assistenza, colla nostra costante tranquilla rassegnazione alle disposizioni sempre adorabili della Provvidenza divina”.
Se il carisma/dono dello Spirito non è vissuto nella concretezza, giorno per giorno con i ragazzi, allora si elaborano teorie per giustificarsi. Ma è un auto inganno. Antonio e Marco Cavanis hanno accolto fin da giovani il dono/carisma del Signore: portare “a buon termine con tanta generosità, con tanto zelo, tanta purità di intenzioni, con ogni mezzo”, l’opera di educare e formare i giovani come buoni cittadini e buoni cristiani. Le situazioni difficili che hanno sperimentato nella loro lunga esistenza, li hanno portati a interrogarsi spesso, sul senso della loro elezione e della loro scelta di vita. Hanno ribadito sempre fedeltà al Signore e fiducia nella Provvidenza che li sosteneva nella “grazia dei primi tempi”. “Benedetto l’uomo che confida nel Signore” (Ger 17, 7). Impararono a fidarsi di Dio come figli: “Vedete quanto vegli la Provvidenza sopra quell’opera, per cui or tanto vi affaticate. La Provvidenza divina condurrà a buon termine un’opera cominciata con tanta generosità, tanto zelo e tanta purità di intenzioni. Adoro le ammirabili tracce della Provvidenza divina che sostiene pietosamente la santa impresa, con aiuti inaspettati e lontani”. La Parola di Dio è il loro sano alimento quotidiano e la fiducia nella Provvidenza è vista in opposizione al calcolo “degli abili a maneggiare la spada” o al computo dei “carri e dei cavalli”. Oggi, si direbbe in contrapposizione ai capitali che si ha in banca.
Instancabili nel cercare “benefattori”, amministravano con oculatezza gli aiuti che ricevevano, optando per una vita di vera povertà evangelica e di libertà da ogni potere umano. Oggi, pregano perché i Cavanis ritrovino fiducia piena nella Provvidenza, siano liberi da ogni attaccamento alle cose materiali e vivano sobriamente, siano onesti nell’amministrazione dei beni. Siano formati a fare scelte per radicata propensione di affidamento alla Provvidenza, piuttosto che per un’opportunistica e insinuante inclinazione all’interesse: “Benediciamo sempre le disposizioni altissime e amorose della Provvidenza Divina. Abbandoniamoci alla Provvidenza quanto all’avvenire. Ammiriamo intanto e benediciamo senza fine la Provvidenza amorosa”. Non fidarsi di Dio impedisce divedere le modalità con cui lui si coinvolge nelle vicende umane. Nelle situazioni di difficoltà, la fiducia nella Provvidenza solitamente è messa in pericolo non dalle dimensioni degli ostacoli, ma da azioni contrarie ai suoi insegnamenti. Nasce dal sapersi ascoltati dal Padre, ricco di misericordia e di fedeltà (cfr Gv 11, 41-42). Dio vede, Dio sa, Dio può. Il Padre ha il volto di un Dio affidabile e che si fida dei suoi figli:“Io mi abbandono intanto alle amorosissime mani della Provvidenza divina e insisto nella mia massima di vivere fermo in spem contra spem”.
Il futuro del cristiano è Dio e per vederlo guardiamo a chi lo rappresenta: bambini e giovani, che ricordano al mondo degli adulti: “La carità finisce, quando finiranno le sofferenze e le necessità di tanta povera gioventù dispersa”. Guardare nella stessa direzione dei giovani è una loro richiesta di senso della vita, fatta con realismo disarmante. P. Antonio e P. Marco l’hanno accolta e si son messi a fare cammino insieme, mentre nemmeno il clero del loro tempo si interessava dei giovani: “Io mi abbandono tranquillamente alla Provvidenza divina, e se pur dovessi stritolare nel duro torchio anche il misero avanzo della mia vita, sarei con il divino aiuto ben lieto di consumarla in un’opera di così grande importanza e di frutto sì consolante. Il modo con cui feci questa scoperta fu tanto insolito e dimostra una traccia così amorosa di Provvidenza. Ammiriamo in primo luogo e benediciamo senza fine le operazioni adorabili e amorosissime della Provvidenza divina, che con un mezzo sì inaspettato ci assiste. Abbandoniamoci pertanto pieni di fiducia nella Provvidenza divina. Vivere in braccio alla Provvidenza senza mai temere”. Oggi, noi Cavanis siamo in “debito di futuro” con i giovani?
La Provvidenza é “divino soccorso al momento opportuno” é abbandonarsi in Dio e non sentirsi mai abbandonati da lui. Dio è sempre più grande del nostro cuore, ma è anche più grande dei nostri timori e delle difficoltà. La prima forma di carità nei confronti dei giovani è non uccidere in loro la speranza nella vita, nel futuro di Dio: “…non vi prendete travaglio per questo. Sappiamo già chi sia il vero Adiutor in necessitatibus: Egli può provvedere a ogni cosa. Aspetto con fiducia nella Provvidenza divina gli operai che coltivino la cara vigna che darà ad altri la vocazione e la grazia per corrispondervi prontamente…”. Per i giovani, l’essere privati della possibilità di meritarsi e costruirsi un futuro, un lavoro, una famiglia, li spinge alla depressione, alla rivolta e all’evasione. Non sanno più come e perché diventare forti, per affrontare la vita con tutti i suoi ostacoli e prove. Allora si chiudono a riccio o evadono dalla realtà pagando a volte un prezzo alto e alla prima disavventura crollano. Non vogliono essere blanditi ma trattati con serietà, e non come eterni adolescenti irresponsabili; chiedono di non essere lasciati soli, gettati nella vita e senza possibilità di futuro e di crescita. Ma c’è la Provvidenza: “Non è punto a temere che ci abbandoni l’amorosa sua Provvidenza. Veglia per noi in cielo la Provvidenza divina, la quale non sarà mai per mancarci”.
P. Antonio e P. Marco Cavanis ci esortano a guardare avanti, a non cedere al pessimismo, a investire nei giovani con fiducia, accompagnando la loro crescita con lungimiranza ed efficacia, non ingannandoli con ideali bacati, forzandoli a correre dietro a miraggi illusori. Vedere nei giovani il buono, il bello e il positivo della loro vita, fiduciosi nella Provvidenza: “Aggiungete, togliete, cambiate quel che vi piace dacché la Provvidenza ve n’offre un’occasione opportuna. Io sono senza soldi che bastino quasi al giorno; pure spero che potrò difendermi confortato dalle opportune assistenze della Provvidenza divina”. La vita di P. Antonio e P. Marco Cavanis è un inno ai giovani e un inno alla Provvidenza divina: “Sappiate pure che la Provvidenza non ci vuol ricchi, perché vuole che esercitiamo la confidenza in lei dovuta, non ci vuol però sprovveduti” (P. Giovanni Paoli a P. Antonio Cavanis). Hanno lasciato ai loro figli questa regola, roccia della nostra salvezza, non rischio, ma investimento sicuro, regola delle regole: “Il nostro fondo assai ricco sarà per noi la Provvidenza”.