Possiamo avere “speranza di frutto” nelle relazione educative?

La speranza del “buon pastore/educatore” è garanzia non solo per la singola persona ma per tutto il popolo.

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Secondo P. Antonio e P. Marco Cavanis,  gli educatori, nella loro missione di avviare i giovani alla crescita integrale nella libertà, devono “sperare contro ogni speranza” ed esercitare cinque virtù, simbolizzate nelle cinque piaghe di Cristo in Croce: vigilanza, sollecitudine, pazienza, preghiera e speranza di frutto. Sono virtù necessarie per affrontare le difficoltà e per superare il pessimismo e la voglia di desistere quando non si vede nessun “frutto” dopo tante fatiche. Nella Bibbia, è presente una corrente di speranza che nasce dalla fede fondata su una roccia stabile, una certezza, un Amen: Dio è fedele.

La speranza del “buon pastore/educatore” è garanzia non solo per la singola persona ma per tutto il popolo. L’immagine del pastore/educatore, esprime qualcosa di più della semplice guida del gregge verso buoni pascoli o verso un’oasi, è presenza che garantisce la speranza di vita e il futuro. Il pastore/educatore, è il fedele compagno di viaggio, corre gli stessi rischi, soffre la stessa sete e fame, lo stesso sole implacabile su lui e sul gregge. Infonde sicurezza e certezza, i sentieri dispersivi o erronei sono con precisione scartati, “il suo bastone e il suo vincastro” trasmettono fiducia. L’intimità tra pastore e gregge rappresenta la fiducia tra educatore e i ragazzi, e raggiunge il suo vertice più alto di intensità nella conoscenza reciproca del “nome” di ciascuno. È amore paterno, in un rapporto con dei “figlioli”, é libertà. Il cammino del gregge e i percorsi educativi non possono essere affidati a mercenari, avventurieri o profittatori. 

Fino a ieri la pandemia era un capitolo nei libri di storia o di scienze. Oggi è un capitolo di cronaca di ogni giorno, pieno di numeri e lamentele che hanno messo in crisi non solo i sistemi scolastici di tanti Paesi, già di per se stessi sconquassati, ma le stesse relazioni educative interpersonali.

Le persone sono diventate più povere e distanti l’una dall’altra anche nelle relazioni educative e c’è chi povero e distante lo è sempre stato.

Il futuro è incerto, ma ci sono milioni di ragazzi che non se lo possono nemmeno sognare il futuro e si accontentano di trovare il pane quotidiano. I ragazzi che frequentavano le nostre scuole e le nostre opere e attività educative hanno affrontato mesi di sofferenza e di lontananza, e ci sono milioni di ragazzi che non hanno mai frequentato una scuola o un ambiente educativo sicuro.

La vita della Congregazione è inseparabile da quella dei poveri. La verbosità a riguardo delle problematiche educative si diffonde più rapidamente del virus. Ingabbia l’anima e lavora a convincerci che è insensato provare a svuotare  il mare della povertà e a voler sfamare le folle con cinque pani e due pesci.In questo tempo di pandemia i Cavanis, più che mai, sono chiamati a dar prova di saper prendersi cura dei giovani e a credere che vale la pena di coltivare la “speranza di frutto”.  Se non lo facciamo la nostra fede sarà irrilevante. 

Abbiamo imparato dai Fondatori il gusto della libertà di spirito, fortemente paterno, come il Buon Pastore del Vangelo, dando fiducia ai giovani per costruire qualcosa di nuovo. La Congregazione non funziona se ci sono “io” ma se ci sono i ragazzi. Noi diamo a loro la nostra vita ma non sono loro il nutrimento della nostra vita. È Dio. Lui invita, mostra, spiega, accoglie, perdona, accompagna. Qualunque sia il rapporto con la fede che hanno i ragazzi, il Buon Pastore sempre capisce.

La nostra dedizione ai giovani non dipende da ciò che abbiamo ma da ciò che siamo. C’è differenza tra scaricare sui giovani la propria sofferenza e il condividerla con umiltà. “Il futuro appartiene a coloro che trasmettono alla prossima generazione motivi per sperare” (Teilhard de Chardin).

Oggi il futuro è avvolto nella nebbia dei fondamentalismi e della sistematica violenza contro i poveri, le donne e i bambini, con l’aumento degli estremamente ricchi e degli estremamente poveri, con la catastrofe ecologica e la marginalizzazione dei giovani. Il Buon Pastore non è nel sepolcro, è risorto ed è vivo: “Se tu vivi con la morte da molto tempo, non ti preoccupi all’idea di dover morire. L’unica questione è sapere se credi nella resurrezione”. L’educatore Cavanis cammina in una relazione educativa come Gesù, con i due discepoli di Emmaus.

P. Diego Spadotto, CSCh

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