“Preghiera, povertà, pazienza, e fecondità vocazionale”

“Lo Spirito Santo non si stanca mai di essere creativo, è l’autore della diversità, ma allo stesso tempo, il creatore dell’unità del Corpo di Cristo, l’unità della consacrazione”...

“Lo Spirito Santo non si stanca mai di essere creativo, è l’autore della diversità, ma allo stesso tempo, il creatore dell’unità del Corpo di Cristo, l’unità della consacrazione”, aiuta i consacrati a trovare i “criteri autentici” per non perdersi nella nebbia della mondanità. Preghiera, povertà e pazienza, tre “colonne” della vita consacrata, secondo papa Francesco. Pregare, è tornare sempre alla prima chiamata, all’incontro con il Signore, che ha invitato i consacrati a lasciare tutto per Lui e per il Vangelo. 

La preghiera, nella vita consacrata, è l’aria che ci fa respirare e rinnovare la chiamata. Senza quest’aria non potremmo essere buoni consacrati. Ma, saremmo forse buone persone, cristiani, cattolici che lavorano in tante opere della Chiesa, ma la consacrazione tu devi rinnovarla continuamente lì, nella preghiera, in un incontro con il Signore. Non importa quanti e quali siano gli impegni e i problemi, lo spazio per la preghiera va sempre trovato.

La povertà dice S. Ignazio, è “la madre, il muro di contenzione della vita consacrata”“difende dallo spirito della mondanità”. Lo spirito di povertà non è negoziabile, perché il rischio è di passare dalla “consacrazione religiosa” alla “mondanità religiosa”, è un percorso in discesa con “tre scalini”: i soldi, la vanità e l’orgoglio.

E poi la pazienza,“quella che ha avuto Gesù per arrivare fino alla fine della sua vita”. Senza pazienza crescono le guerre interne di una congregazione, i carrierismi nei capitoli generali e le cordate per controllare e vincere le elezioni.

Francesco cita l’esempio di due Province maschili di congregazioni diverse che, in un Paese “troppo secolarizzato” hanno chiuso l’ammissione al noviziato: “Manca la pazienza e si finisce con l’“ars bene moriendi”, non vengono le vocazioni e ci attacchiamo ai soldi per qualsiasi cosa possa succedere in futuro. Questo è un segnale che si è vicini alla morte, non si ha la pazienza di convertirsi e aspettare la grazia del Signore. Non si sa per quali cammini va la fecondità, ma se tu preghi, se sei povero e paziente, stai sicuro che sarai fecondo, sarai padre, sarai madre. E’ quello che auguro alla vita religiosa, di essere feconda”. 

Anche quando le nubi dei problemi sembrano addensarsi pesantemente, bisogna ricordarsi che l’amore fedele di Dio splende sempre, come sole che non tramonta, come messaggio eterno di gioia e vita missionaria. “La missione è la priorità della Chiesa oggi”, dare voce a questa speranza che non si affievolisce mai, neanche quando il male sembra più forte e che non dipende dal denaro. La missione chiede di partire perché Gesù ci invita a essere pellegrini poveri e fecondi e farà dono di vocazioni secondo il suo Cuore.

Gesù non usa mezze misure, “non autorizza trasferte ridotte o viaggi rimborsati”, ma chiede ai suoi discepoli di andare ed annunciare, ricordando che “per annunciare bisogna rinunciare”, essere leggeri. 

“Solo una Chiesa svincolata da potere e denaro, libera da trionfalismi e clericalismi testimonia in modo credibile che solo Cristo libera l’uomo”. La missione chiede di coltivare l’arte di camminare insieme”, senza cedere alla tentazione di “dettare il passo agli altri”. Nella fede e nella missione si va avanti insieme, senza isolarsi, senza fughe in avanti e senza lamentarsi di chi ha il passo più lento.

Solo con questa paziente attenzione è possibile condividere con gli altri il dono ricevuto, riscoprendosi parte di “una Chiesa discepola in uscita” che attrae vocazioni, non si impone, ma serve. Questa dinamica permette di amare “le culture e le tradizioni dei popoli”, senza applicare modelli prestabiliti. Lo Spirito Santo è sempre all’opera presso ciascun popolo. I missionari allora diventano autorevoli perché prossimi, ascoltati perché vicini e camminano insieme. Lo Spirito Santo parla dove c’è armonia di vita fraterna perché ogni carisma ha un aspetto relazionale di comunione.

P. Diego Spadotto, CSCh

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