Quando non si sa dove si va, è bene sapere da dove si viene: conversione pastorale

Papa Francesco, nella “buona battaglia” che sta combattendo per orientare la Chiesa “in uscita”, fa spesso riferimento alla necessità della conversione personale per arrivare alla “conversione pastorale”. 

Papa Francesco, nella “buona battaglia” che sta combattendo per orientare la Chiesa “in uscita”, fa spesso riferimento alla necessità della conversione personale per arrivare alla “conversione pastorale”. Il termine conversione è ormai impoverito da un uso eccessivo, sembra aver perso la sua forza. Ecco perché è bene sottoporre il nostro vocabolario abituale a un esame critico.

E sempre illusorio credersi convertiti una volta per tutte. Il peccato, la conversione e la grazia non sono semplicemente tre tappe in successione; nella vita quotidiana a volte sono inestricabili, crescono insieme, in reciproca dipendenza.

La conversione è un “rovesciamento” sempre in atto. Non siamo dei semplici peccatori, ma dei peccatori perdonati, dei peccatori in conversione. Anche la “conversione pastorale” è un “rovesciamento” di abitudini, usi, di mentalità (si è sempre fatto così…una volta tu ha fatto così, perché non posso farlo anch’io…), per arrivare a una visione e a una conoscenza della realtà di oggi che permette di impostare una azione pastorale nuova, non ripetitiva, incarnata nella realtà di ogni Paese dove la Chiesa è presente. 

“Dio é ogni giorno alla ricerca del suo operai della messe, e il tempo che ci dà è un suo dono, un tempo di grazia e misericordia per evangelizzare efficacemente la gioventù”.

Oggi, anche noi consacrati Cavanis non abbiamo chiaro chi siamo e cosa dovremmo fare per evangelizzare la gioventù. Allora cerchiamo di ricordare da “dove” siamo venuti, per non fuggire o scegliere vie illusorie, cercando fuori ciò che non si ha il coraggio di trovare dentro, ripetendo abitudini per ingrandire noi stessi, e non per la “gloria di Dio”. Siamo fragili e insicuri, resistiamo alla conversione e viviamo in un’epoca dove solo i perfetti, fanno carriera e ogni debolezza e fragilità sembrano bandite. 

Due categorie di persone, spesso, resistono alla conversione: i peccatori incalliti che resistono alla conversione personale e i giusti incalliti…che sono, indubbiamente, i più numerosi e resistono alla conversione pastorale. Proprio come i farisei. Gesù chiama i discepoli non alla virtù, a essere superiori agli altri nell’osservanza di norme, ma alla santità che è frutto della grazia.

Riguardo al termine “perfezione” il vocabolario del nostro tempo è legato a schemi di pensiero vecchi. Il pericolo è di lasciarsi contaminare da questa idea di perfezione, allontanandoci dal Vangelo.

La vita religiosa non é una impresa umana che cerca il successo, ma è dono e grazia. Gesù nella parabola del fariseo e del pubblicano presenta l’autentica virtù e quella sbagliata: “Signore io ti ringrazio perché non sono… O Dio, abbia pietà di me che sono peccatore”. Il consacrato  non è altro che un peccatore perdonato e convertito che agisce per la grazia di Dio..

Nutre la mente solo ciò che fa felici. E’ possibile, allora, una formazione alla Vita consacrata che si occupi della felicità di servire il Signore nei poveri, uno spazio pastorale dove ognuno trovi il modo in cui fare dono di se stesso, un’ispirazione missionaria che abbia la forza di una passione profonda, che dia energia per affrontare gli ostacoli? Questa possibilità è tutt’altro che comoda e dipende dalla conversione, non si realizza senza un amore gratuito, senza un Padre che manifesti fiducia in noi prima ancora che noi in lui, senza ricordare da “dove” siamo partiti. Il nostro futuro Cavanis dipende da quello che sappiamo amare della nostra storia.

C’è la grande storia dei libri e c’è la storia piccola che rimane nella memoria di chi l’ha vissuta, fatta di vittorie e sconfitte. La grande e la piccola storia sono regolate da scelte fatte in libertà, per amore del Signore. Così han fatto i santi di casa nostra, così ha fatto San Francesco che ha composto il Cantico delle creature in una delle notti più tormentate della sua vita, per il corpo e per lo spirito, sentendosi abbandonato da Dio, nel freddo esteriore e interiore. Alla luce del mattino, a partire dall’assoluta povertà e fragilità del suo essere, compose il Cantico delle creature.

P. Diego Spadotto, CSCh

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