Se vogliamo vincere il buio facciamo brillare la luce della santità

La santità di P. Antonio e P. Marco che il Signore ci dona ogni giorno, non abbiamo il diritto di tenerla per noi, la dobbiamo mettere a servizio della Chiesa e del mondo dei giovani...

Formazione.
Formazione.

La storia della Causa di Beatificazione dei Venerabili servi di Dio P. Antonio e P. Marco Cavanis è una storia lunga, con interruzioni, riprese, tante amnesie e elettrocardiogrammi piatti di fiducia nella loro vita santa. Ci sono stati due momenti di una certa attività con i postulatori P. Aldo Servini e P. Giovanni De Biasio.

Per il resto tanta stanchezza ripetitiva nella recita della “preghiera” per la loro beatificazione, senza alcuna novità. “Tu pensa a un pianoforte. I tasti iniziano e finiscono. Tu sai che sono 88. Non sono infiniti. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare” (A. Baricco), diciamo che siamo pochi e poco conosciuti, solo “88”, e così non tentiamo di suonare una musica nuova e semplice, per divulgare la devozione ai “santi di casa nostra”.

Non riusciamo a suonare una musica di santità come loro: sempre fedeli, autentici interpreti della Parola di Dio, durante tutta la loro lunga vita. Forse ancora non abbiamo capito dove sta la bellezza e l’originalità della loro santità.

Se oggi, nella Congregazione, rimane ancora un pò di santità, lo dobbiamo a loro. Non lamentiamoci se non sono ancora dichiarati Beati e Santi dalla Chiesa. Piuttosto aiutiamo la Chiesa a dichiararli santi diventando santi noi. Se vogliamo vincere il buio accendiamo la luce e smettiamola di gridare al buio. 

La santità di P. Antonio e P. Marco che il Signore ci dona ogni giorno, non abbiamo il diritto di tenerla per noi, la dobbiamo mettere a servizio della Chiesa e del mondo dei giovani, altrimenti marcirà nella nostra mediocrità.

La crisi sanitaria, economica sociale e ecclesiale è un’occasione propizia per una breve riflessione sul significato della crisi della santità nella nostra vita religiosa e per non confondere la crisi con il clima di conflitto che continua a serpeggiare in Congregazione. Le crisi generalmente hanno un esito positivo, mentre i conflitti creano sempre competizione, antagonismo fra persone divise in amici da amare e nemici da combattere.

Nelle crisi si può conservare grande pace e serenità, nella piena consapevolezza che tutti siamo solo “servi inutili” (Lc 17,10), ai quali il Signore ha usato misericordia. Oggi, la pandemia ha fatto cadere «il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli nel Sangue di Cristo». Chi non guarda alla crisi della pandemia alla luce del Vangelo si limita a fare l’autopsia di un cadavere. Siamo spaventati dalla crisi non solo perché abbiamo dimenticato di valutarla come il Vangelo ci invita a farlo, ma perché abbiamo dimenticato che il Vangelo è il primo a metterci in crisi. 

La Congregazione non può continuare ad essere un corpo in conflitto, con vincitori e vinti, perché «in questo modo diffonderà timore, diventerà più rigida, meno sinodale, e imporrà una logica uniforme e uniformante, così lontana dalla ricchezza e pluralità che lo Spirito ha donato alla Congregazione».

In questo senso, tutte le resistenze che facciamo all’entrare in un cammino di santità lasciandoci condurre dallo Spirito, ci condannano a rimanere soli e sterili. Non ostacoliamo l’opera della Grazia di Dio che vuole manifestarsi in noi e attraverso di noi. Se vogliamo davvero un cambiamento dobbiamo avere il coraggio di una disponibilità di conversione a tutto tondo per camminare in santità di vita.

Si deve smettere di pensare ai cambiamenti come a un rattoppo di un vestito vecchio. Non si tratta di rattoppare un abito, perché la Congregazione non è un semplice “vestito”, bensì una storia di santità. “Rivestitevi di Cristo che è lo stesso ieri, oggi e per sempre!» (Eb 13,8), affinché appaia chiaramente che la Grazia ci è donata non viene da noi ma da Dio.

È il Signore che ci santifica. È bene ricordare che la prima finalità dell’essere consacrati è la ricerca costante della “santificazione personale”. Sulla santità non si può barare secondo le parole di Gesù: per quanto imbiancati i sepolcri sono sempre sepolcri.

P. Diego Spadotto, CSCh

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