“Seguitemi… seguimi”

Chi è spiritualmente vivo si espone con coraggio al rischio di ferirsi, perché non è possibile amare senza correre questo rischio.

Bisogna smettere di fare previsioni, e di ingannarsi. Le vocazioni non aumentano nelle stanze delle riunioni sulla pastorale vocazionale ma sul “terreno di gioco” dove è viva la missione educativa, testimoniata da religiosi e laici/e collaboratori che hanno sposato la passione educativa di Antonio e Marco Cavanis. Mai abbiamo avuto tante conoscenze a riguardo della chiamata vocazionale. Ma sono tutte frammentate e quindi inadeguate a trattare la complessità della missione educativa. “Seguitemi…Seguimi” il verbo è al presente. “Vi farò pescatori di uomini” il verbo è al futuro, in mezzo c’è tutto il cammino di formazione.

Il discepolo è chiamato a seguire Gesù liberamente per porsi a servizio degli altri come lui e con il suo modo di comportarsi. Non esiste una chiamata a vantaggio proprio. Si è chiamati per la missione. La risposta deve essere generosa e libera: “subito lo seguirono”. Gesù chiama nella situazione concreta in cui la persona si incontra, “stavano lavorando, lavando le reti, al banco delle imposte…ecc”.

Abbandonano tutto ma non per disprezzo, ma per cercare qualcosa di meglio. Il vero distacco accade quando si “vende” quello che si ha e si dà alla “povera gioventù dispersa”. Il semplice lasciare non è sequela. Ma quelli a cui è dato di “conoscere i misteri del Regno” e lasciano tutto,  sono inviati ad annunciare il regno ai “piccoli” fino ai confini della terra, rivestendosi delle piaghe/virtù del Crocefisso. 

Nella missione educativa ciò che fa deviare il discepolo non è il rifiuto di seguire il Maestro, ma il “buon senso” di chi ragiona “secondo gli uomini e non secondo Dio”, di chi cerca non la gloria di Dio ma la gloria di se stesso. L’orizzonte di Gesù è il mondo intero, ogni creatura. Non è possibile una sequela “da lontano”, “a distanza” perché essa non sopporta compromessi o racconti di auto narrazione in cui, partendo dall’ansia di non essere riconosciuti, parliamo raccontandoci.

L’educatore Cavanis non deve trarre alcun vantaggio dal suo lavoro apostolico: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 8-9). Se accumuli tesori il tuo cuore è li, tutta la persona viene coinvolta nella vanità dei beni che accumula. L’errore sta sempre nel sopravvalutare i “beni”, il successo economico dell’Opera.

Il “Regno di Dio e la sua giustizia”  è il “come” Dio si comporta con l’uomo: compassione, misericordia, gratuità. Il vero educatore Cavanis accetta di essere ridimensionato per scoprire la propria “statura” di servizio. L’importante “è che Lui cresca”, non altro.

Quel che fa veramente male nella missione educativa è l’orgoglio e l’impuntarsi nell’infantilismo di voler apparire, riflesso amaro e acido dell’amor proprio e del protagonismo. Si finisce per vivere al minimo, sfogliando la vita e non leggendola fino in fondo, senza profondità, senza coinvolgimento, in superficie, e  senza perseveranza fedele alla vocazione ricevuta in dono. 

“Quando si conserva il grano ammucchiato, si corrompe: ma fruttifica quando si semina”. Così san Domenico, inviando alcuni suoi frati in missione, nonostante il parere contrario di altri confratelli. La speranza di frutto non è la convinzione che una nuova missione educativa andrà a finire economicamente bene, ma la certezza che quella missione ha un senso, indipendentemente da come andrà a finire.

Se osiamo affrontare la nostra propria complessità personale, come han fatto i primi apostoli di Gesù e in nostri Fondatori, invece di soccombere a quel dualismo interiorizzato, dove il nostro io rigetta frammenti della propria personalità che non ama, si scoprirà una serenità profonda, riconosceremo tutto ciò che siamo, e potremo essere in pace con noi stessi nella missione educativa. Essere pienamente vivi vuol dire vivere per i giovani e gli uni con gli altri. Siamo vivi soltanto nella reciprocità educativa.

Chi è spiritualmente vivo si espone con coraggio al rischio di ferirsi, perché non è possibile amare senza correre questo rischio. Se davvero amiamo la missione educativa, faremo errori, perfino dei peccati, ma è meglio così che il non essersi mai assunti alcun rischio e vivere nella globalizzazione della superficialità vocazionale con la paura di andare verso nuove esperienze educative, verso nuove sfide. 

P. Diego Spadotto, CSCh

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