Papa Francesco, con il coraggio che conosciamo, continua contrastare il “pensiero debole”, quello dei pressapochismi, delle frasi fatte, delle narrazioni scontate, delle affermazioni per sentito dire, la tendenza di nascondere la sporcizia sotto il tappeto. Lo ha fatto anche all’inizio di questa Quaresima 2020. Forte il suo richiamo a togliere dal cuore l’ipocrisia e tutte le polveri di morte che sporcano il cuore e devastano il mondo. La Quaresima è tempo di grazia e guarigione, non bisogna cedere alla rassegnazione. Siamo polvere nell’universo, ma una polvere “preziosa”, amata dal Padre e non dobbiamo cedere alla rassegnazione, piuttosto ricordarci che siamo al mondo per realizzare il sogno di Dio. Non inceneriamo il sogno di Dio, il Papa incoraggia i fedeli a impiegare questo tempo liturgico per lasciarci riconciliare con Dio e vivere, finalmente, come “figli amati”, “peccatori perdonati”, “malati risanati”. Nel cammino verso la Pasqua, spiega, possiamo infatti compiere due passaggi: quello che va dalla polvere alla vita e l’altro, più doloroso, che invece procede dalla vita alla polvere. Nel primo è contenuta la speranza più grande, cioè che nonostante la paura, il male dilagante, la cattiveria e una progressiva scristianizzazione della società, Dio possa trasformare la nostra polvere in Gloria.
“La Quaresima non è il tempo per riversare sulla gente inutili moralismi, ma per riconoscere che le nostre misere ceneri sono amate da Dio. È tempo di grazia, per accogliere lo sguardo d’amore di Dio su di noi e, così guardati, cambiare vita. Siamo al mondo per camminare dalla cenere alla vita. Allora, non polverizziamo la speranza, non inceneriamo il sogno che Dio ha su di noi. Non cediamo alla rassegnazione”. Francesco, invita i fedeli a lasciare che la cenere che riceviamo sul capo scuota i nostri pensieri e a porsi una domanda: “Io, per che cosa vivo?”. Per i soldi? Per il prestigio? Per la carriera? Per la smania di possesso? Se viviamo per tutto questo, viviamo solo di polvere. La cenere che abbiamo ricevuto sul capo ci ricorda invece che non possiamo vivere per tutto ciò che svanisce, solo l’amore dura, solo l’amore salva. “Siamo cittadini del cielo e l’amore a Dio e al prossimo è il passaporto per il cielo, è il nostro passaporto. I beni terreni che possediamo non ci serviranno, sono polvere che svanisce, ma l’amore che doniamo – in famiglia, al lavoro, nella Chiesa, nel mondo – ci salverà, resterà per sempre. Macerie, distruzione, guerra. Vite di piccoli innocenti non accolti, vite di poveri rifiutati, vite di anziani scartati. Continuiamo a distruggerci, a farci tornare in polvere. E quanta polvere c’è nelle nostre relazioni! Guardiamo in casa nostra, nelle famiglie: quanti litigi, quanta incapacità di disinnescare i conflitti, quanta fatica a chiedere scusa, a perdonare, a ricominciare, mentre con tanta facilità reclamiamo i nostri spazi e i nostri diritti! C’è tanta polvere che sporca l’amore e abbruttisce la vita. Anche nella Chiesa, la casa di Dio, abbiamo lasciato depositare tanta polvere, la polvere della mondanità”.
Francesco insiste e mette in guardia da un tipo particolare di polvere, che emerge nel Vangelo delle Ceneri: quella dell’ipocrisia. Gesù infatti non dice solo di compiere opere di carità, di pregare o digiunare ma di fare tutto ciò senza finzioni e doppiezze. “Quante volte, invece, facciamo qualcosa solo per essere approvati, per il nostro ritorno di immagine, per il nostro ego! Quante volte ci proclamiamo cristiani e nel cuore cediamo senza problemi alle passioni che ci rendono schiavi! Quante volte predichiamo una cosa e ne facciamo un’altra! Quante volte ci mostriamo buoni fuori e coviamo rancori dentro! Quanta doppiezza abbiamo nel cuore… È polvere che sporca, cenere che soffoca il fuoco dell’amore”. La Quaresima allora, è ancor più tempo di guarigione che ci aiuta a pulire il cuore dalla polvere. E’ tempo per lasciarci riconciliare, per far sì che l’amore di Dio possa consumare la cenere del nostro peccato. L’“identità cristiana” nella quale ci riconosciamo o che gli altri ci attribuiscono, ci definiscono e, in un certo senso, ci differenziano. Ma noi siamo “di più”, siamo “impastati di infinità” e questo è ciò che ci guarisce e ci unisce.
P. Diego Spadotto CSCh