Nel lungo cammino di formazione alla vita consacrata, uno dei compiti dei formatori e degli orientatori spirituali, è quello di smascherare nei candidati le immaturità e i ritardi di crescita nell’equilibrio umano e spirituale.
Questi non favoriscono la vita comunitaria, per esempio: non voler “lasciare barca e reti”, non voler “rinunciare a se stessi”, bisogno ossessivo di approvazione da parte degli altri, esibizionismo da protagonisti, sentimenti di inferiorità che alimentano ricatti, “o così o me ne vado”.
In tempi di sterilità e numeri ridotti di vocazioni, questi ritardi di crescita non sono presi in seria considerazione, purtroppo. Se però non sono corretti in tempo, essi creeranno sempre problemi tanto nella vita apostolica. quanto nelle relazioni in comunità e nel vissuto dei voti.
Seguire Gesù non vuol dire solo seguire i suoi insegnamenti, ma seguire la persona, la sua maturità umana, la sua capacità di morire a se stesso per realizzare la volontà del Padre.
Per questo chiede, a quanti vogliono seguirlo, di verificare continuamente l’osservanza delle condizioni che lui stesso presenta, per poter continuare ad avere una relazione personale con lui: seguirlo, unirsi lui, vivere con lui, lavorare con lui e per lui, condividere la sua vita. Molti seguono Gesù ma non hanno mai lasciato niente, cioè non sono “morti” a se stessi.
Tutti per andare avanti nella vita della sequela di Gesù devono lasciarsi qualcosa alle spalle. Per alcuni si tratta di modelli di comportamento a cui si è abituati, per altri il successo personale, l’adulazione delle folle. A volte nel cammino vocazionale è di aiuto non solo non guardare a quello che ci lasciamo dietro ma a quello che Dio ci promette, a quello che Dio già ci ha dato gratuitamente.
Gesù, ponendo queste condizioni aiuta a superare quel bisogno infantile, sottilmente presente in tutti, di essere sempre accolti e approvati, aiuta a mantenere vigile la coscienza critica a riguardo degli umori delle “folle”. Gli umori possono cambiare da un momento all’altro, oggi la folla ti acclama re e domani ti inchioda in croce. Con il suo stile di vita Gesù insegna a liberarsi dal bisogno di piacere a tutti e a tutti i costi.
Questo bisogno, a volte ben mascherato, é una trappola insidiosa. Si può finire paralizzati, incatenati dal desiderio di essere sempre approvati. A poco a poco il desiderio morboso di piacere agli altri toglie la libertà di essere semplicemente se stessi.
Il cammino vocazionale proprio per questo è un processo di conversione lento, misurato, come il processo di un albero che in autunno cambia colore. La vera conversione è frutto della Grazia, spesso non riusciamo a vedere il cambiamento in noi stessi.
Altra condizione che Gesù pone ai suoi discepoli, è quella di non rimuovere il passato e la propria storia per paura o vergogna, pensando che, dal momento che si é cresciuti, abbia poco da offrire. È compito dei formatori e degli orientatori spirituali saper individuare le immaturità nella crescita umana e spirituale dei candidati alla vita consacrata e a riconciliarsi con la propria storia.
Non è facile trovare maestri di novizi, formatori e direttori spirituali che facciano questo lavoro con saggezza. È famosa la frase di santa Teresa d’Avila secondo la quale tra un saggio e un santo orientatore spirituale avrebbe scelto il saggio.
Il saggio/sapiente ha capacità di ascolto, non teme il silenzio, non è avventato e non presume di sapere quello che il formando vuole dire, sa discernere se sta parlando solo di problemi suoi e non di Dio e della ricerca della sua volontà. Deve fare come Gesù sul lago di Galilea quando scopre che Pietro non era solo coraggioso e sempre indaffarato, ma anche abbastanza debole per essere un buon leader.
“Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferire parole davanti a Dio, perché è in cielo e tu sulla terra: perciò siano poche le tue parole. Infatti dalle molte preoccupazioni vengono i sogni e dalle molte chiacchiere il discorso dello stolto” (Qo 5, 1-2).
Spesso il dimostrarsi sempre indaffarati e protagonisti è il modo con cui tentiamo di dimostrare a noi stessi che siamo importanti. L’essere indaffarati è il marchio di importanza ma anche di fragilità rimossa, quindi pericolosa.
P. Diego Spadotto, CSCh