Vita Consacrata Cavanis, ne vale a pena?

Preparazione per il Capitolo Generale 2019.

Sembra facile capire il contesto secolarizzato nel quale stiamo vivendo qui in Europa, ma non lo é. I confratelli che provengono da altri continenti rimangono spesso sorpresi di come la religione sia poco considerata dagli europei, diversamente rispetto ai loro paesi di origine. Sebbene ci sia ancora un ampio cattolicesimo di popolo, tuttavia si constata molta indifferenza nei confronti della fede.

Segni della secolarizzazione sono evidenti: la diminuzione dei matrimoni religiosi e dei battesimi, il calo della frequenza alla Messa, diminuzione di vocazioni e la provvisorietà delle decisioni vocazionali, soprattutto tra i giovani, insieme alla richiesta di alcuni di uscire formalmente dalla Chiesa. Soprattutto colpisce la minore incidenza della fede sulla vita civile, con il pericolo di vivere in modo separato la fede e la vita, il vangelo e la cultura, come ricordava san Paolo VI in Evangelii nuntiandi. Ma il vivere in una società plurale, in cui convivono  visioni del mondo e religioni diverse, può aprire alla “Chiesa dalle genti” nuove opportunità, per forme incisive di testimonianza personale e comunitaria.

Le comunità di vita consacrata, in costante diminuzione qui in Europa, sono già composte o lo saranno a breve,  da membri di diverse culture provenienti da altre nazioni. Anche le nostre comunità Cavanis sono multietniche. Che tipo di accoglienza, di formazione e di accompagnamento avranno i confratelli chiamati ad essere missionari qui in Europa? Come scoprire e praticare nuove forme di esercizio del carisma nella Misericordia del Padre?

Molti religiosi stanno male dentro la vita consacrata, nonostante facciano solo il loro dovere, ma non si chiedono mai il per chi e il perché né, tanto meno, se ne vale la pena. “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso” (Lc 12,49) Se queste parole di Gesù non li svegliano significa che l’inverno della fede sarà ancora lungo e continuerzanno in letargo. Ci sono pochi religiosi appassionati, molti sono misuratamente poco coinvolti con la vita consacrata, con le cose da fare, con la missione. Ci si accomoda in una costante crisi, e in un vittimismo che rende annoiati e depressi. Manca qualcosa per cui “bruciare”. 

Si vive sotto l’effetto di antidolorifici, l’importante è che non ci si scomodi troppo. Una sala di un museo si gestisce meglio che una classe di bambini scatenati, un campo scuola di adolescenti elettrici, un gruppo di giovani con gli ormoni in agitazione. “I reperti di un museo si studiano, si analizzano, si catalogano, si restaurano, ma la vita invece è fatta di scelte, tentativi, sogni per cui lottare, sofferenze da affrontare, incomprensioni da digerire”.

Chiediamo che il Capitolo rifletta su queste situazioni e proponga qualcosa di concreto per formare i futuri educatori Cavanis, religiosi e laici?

Uno dei pericoli interni nelle famiglie religiose è quello dell’autoreferenzialità. I religiosi si ritengono proprietari in esclusiva di certi compiti e servizi e credono di vivere il carisma in modo migliore di altri. Questo atteggiamento, tipico degli “sconfitti” che continuano a credersi migliori ed “entrano a gamba tesa” nei laici collaboratori, considerati solo come destinatari del carisma e non promotori, ha favorito la perdita di credibilità della vita consacrata e la crescita dei movimenti laicali.

Solo il cristianesimo presenta un Dio “bisognoso”.  “Oggi le opere di misericordia corporale e spirituale sono talmente stinte dal venire quasi catalogate come estinte in alcune Congregazioni religiose” (G. Ravasi). E nella nostra Congregazione?

P. Diego Spadotto, CSCh

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